— Non voglio fare la badante, — disse secca mentre accompagnava suo marito in una casa di riposo. — Lì riceverai cure migliori.

La stanza era avvolta in una luce fioca, carica di un silenzio greve e doloroso. Sergej Andreevič sedeva sul bordo del divano, le mani intrecciate con nervosismo, fissando un punto indefinito davanti a sé. Gli occhi, segnati dalle notti insonni, sembravano perdersi nel vuoto, come se dietro quella cortina invisibile si celasse la risposta alla domanda che lo tormentava: «Perché?»

Vicino a lui, nella culla, riposava il suo figlio più piccolo, appena due anni di vita. Nonostante l’innocenza dell’età, sembrava percepire la sofferenza del padre, quasi volesse confortarlo con il dolce ritmo del suo respiro.

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Un anno prima, Ludmila, la sua amata moglie, era scomparsa improvvisamente, lasciandolo solo con tre figli da crescere. Il dolore era ancora vivido, così come l’ansia per il futuro: un uomo inesperto nei lavori domestici che ora doveva fare da madre e padre. I parenti cercavano di sostenerlo, ma spesso ripetevano:

— Seryozha, è tempo di pensare a rifarti una vita. I bambini hanno bisogno di una mamma.

— E cosa ne penserebbe Lusia? — rispondeva sua madre, mentre riordinava la cucina, dove ancora pendeva il loro ritratto di nozze. Sergej annuiva in silenzio, ma dentro sentiva un nodo stringergli il cuore. Non riusciva a immaginare nessun altro al posto di Ludmila.

La prima volta che incontrò Tonja fu al compleanno di un cugino. Una ragazza qualunque, dall’aspetto semplice, ma che riuscì a risvegliare in lui un sentimento sopito: la speranza. La sua gentilezza, l’apertura e il calore con cui parlava sciolsero il gelo che avvolgeva il suo cuore.

Con lei le parole fluivano sincere. Ascoltava con attenzione, parlava con dolcezza, e la sua voce sembrava riscaldare l’anima. Solo accanto a lei Sergej si sentiva vivo.

— E i bambini? Come fai a gestirli? — chiese un giorno, sfiorandogli la mano con delicatezza, un gesto semplice ma carico di significato.

— Mi mancano… come me stesso. Faccio di tutto per stare vicino a loro. Ma tu… perché vuoi saperlo?

— Perché fanno parte di te. E per me è importante conoscere ogni pezzo della tua vita — rispose Tonja, abbassando lo sguardo, con una sincerità che fece sentire Sergej amato e capito dopo tanto tempo.

C’era però un’altra donna nella sua vita: Lida. I parenti la vedevano come «la scelta giusta». Bella, ma distante. Il suo volto raramente sorrideva, la voce era spesso dura. Eppure i bambini, con sorpresa di Sergej, le si affezionarono rapidamente. Lida raccontava storie spaventose, preparava biscotti seguendo una ricetta segreta, concedeva loro qualche libertà in più, e si impegnava davvero per essere una buona figura materna, anche se non aveva figli suoi.

Sergej osservava il suo affetto verso i figli e capiva che, a modo suo, li amava. Ma il suo cuore rimaneva chiuso. Quando lei lo sfiorava provava solo freddezza, nessun calore o luce, nulla di ciò che gli donava Tonja.

— Lida è una donna laboriosa, severa ma giusta. I bambini la adorano! — insisteva sua madre — Ora tocca a te pensare a loro, non solo a te stesso.

La mente di Sergej tornava sempre a Tonja — al suo sorriso discreto, ai riflessi dei suoi capelli al sole, alla dolce sicurezza con cui era entrata nella sua vita. Era lei che vedeva al suo fianco. Ma i bambini desideravano Lida. Soprattutto Volodia, il primogenito, che definiva «brutta» Tonja e pregava il padre di non portarla più a casa. Per lui, Lida era «bella, allegra e buona».

Un mese era passato da quando Lida era entrata stabilmente nelle loro vite. Sergej si sentiva perso, confuso tra realtà e dovere. Manteneva le distanze, ma i bambini cercavano di unirli. A cena Lida prendeva il suo posto, versava il tè seguendo un’antica ricetta di famiglia, parlava del lavoro. Sergej ascoltava senza sentire alcun sentimento.

In un giorno piovoso d’autunno, con il vento che spogliava gli ultimi rami, Sergej si fermò alla finestra. Oltre il vetro la strada era grigia, i rami spogli, e un cespuglio lilla che Ludmila aveva piantato tempo fa. Il suo cuore si strinse.

— Cosa devo fare, Ljudočka? — sussurrò alla memoria, mentre le lacrime, trattenute a lungo, gli scendevano improvvise.

Entrò nella stanza dove i bambini lo guardavano in attesa.

— Ragazzi… devo dirvi una cosa… Lida vivrà con noi.

Appena pronunciò queste parole, Volodia si alzò in piedi, gli occhi pieni di gioia:

— Davvero, papà? Rimane con noi? Evviva!

Anche i più piccoli corsero ad abbracciarlo e la stanza si riempì di risate. Ma dentro Sergej c’era un freddo che nessuna felicità poteva scaldare. Tonja non usciva dai suoi pensieri. La vita che avrebbe potuto avere con lei sembrava un sogno irraggiungibile, oltre una linea sottile.

Lida si trasferì da loro all’inizio di novembre, senza clamori. Sistemò le sue cose con ordine, come se quel posto fosse sempre stato casa sua. La vita cambiò, ma nel cuore di Sergej rimase quel vuoto che solo Tonja avrebbe potuto colmare.

I bambini la accolsero con entusiasmo. Dopo due settimane Volodia la chiamava «mamma», e anche i più piccoli, dopo un po’ di timidezza, seguirono il suo esempio. Lida si prendeva cura di loro con dedizione: aiutava con i compiti, preparava pranzi gustosi, leggeva storie prima di dormire. Apparentemente tutto era perfetto, la casa tornava a essere un nido. Ma Sergej non trovava pace in quel calore.

La notte restava sveglio, attento al suo respiro. Era lì, vicina, eppure estranea. Ogni sera la trovava ad attenderlo con una cena calda.

— Sei stanco oggi? — gli chiedeva porgendogli il piatto.

Sergej annuiva in silenzio. Le sue parole erano premurose, ma mancava l’amore. Per i figli era una madre, per lui una sconosciuta. Quell’assenza lo tormentava senza tregua.

Gli anni passarono. La casa si riempì di profumo di dolci, risate di bambini, ma mancava quel calore che una volta Ludmila portava. Sergej spesso si sorprendeva a pensare a Tonja per strada: un incontro casuale gli serrava il petto. Lei non tornò mai, capendo di essere di troppo. Ma da lontano, con uno sguardo luminoso, gli offriva conforto.

I figli crebbero e lasciarono il nido, ognuno con la propria vita. La casa, un tempo piena, divenne silenziosa. Sergej rimase solo con Lida, che mai divenne davvero compagna. Tra loro cresceva la distanza, e la convivenza divenne una semplice abitudine.

La salute di Sergej declinò. Iniziò con piccoli acciacchi, poi arrivarono malattie più gravi. Sembrava che la vita lo abbandonasse. Lida osservava tutto con distacco, negli occhi solo stanchezza: sembrava avesse rinunciato anche lei.

Un giorno non poté più alzarsi dal letto. La diagnosi fu chiara: un ictus. Lida avvisò i figli, ma nessuno arrivò in tempo. Poi prese una decisione che non lo sorprese.

— Dobbiamo essere onesti fino in fondo — disse fredda mentre preparava le sue cose il giorno delle dimissioni. — Non posso fare la badante. Starai meglio dove ti curano seriamente.

Senza un vero addio, lo accompagnarono alla macchina e lo portarono in una casa di riposo, un luogo dove ogni giorno era uguale al precedente, il tempo perdeva senso e il futuro si riduceva a una lenta solitudine.

Tra quelle pareti grigie, Sergej aspettava la fine. Ma il destino aveva in serbo altro per lui.

Un pomeriggio, mentre fissava il soffitto, la porta della stanza si aprì e una donna entrò. I suoi passi erano leggeri ma decisi, e nei suoi occhi brillava la luce che lui credeva persa.

Era Tonja.

Non la riconobbe subito — gli anni l’avevano cambiata — ma qualcosa dentro di lui si mosse. Lei si fermò, con le pupille velate di lacrime.

— Sergej Andreevič… sei tu?

Lui si sollevò leggermente, il cuore balzò. Non credeva ai suoi occhi.

— Tonja… come sei arrivata qui?

— Lavoro qui da anni — rispose sedendosi accanto a lui e prendendogli la mano con cura — Non pensavo di incontrarti.

Il suo tocco era caldo, familiare. Era ciò che entrambi avevano desiderato senza rendersene conto.

Tonja restò con lui, badando a ogni sua necessità, aiutandolo ad alzarsi, portandogli da mangiare. Giorno dopo giorno, in lui rinacque la voglia di vivere. Non tanto per guarire fisicamente, quanto perché finalmente aveva un motivo per svegliarsi.

Passavano ore insieme, ricordando il passato e raccontandosi cosa era accaduto durante quegli anni separati. Tonja confessò di non essersi mai sposata, dedicandosi al lavoro e ad aiutare gli altri, ma l’immagine di lui non aveva mai lasciato il suo cuore.

Sergej comprese di aver perso la sua felicità scegliendo il dovere invece dell’amore. Ora, in età avanzata, gli veniva offerta una seconda possibilità.

Dopo qualche mese la sua salute migliorò molto. Tonja lo invitò a trasferirsi da lei.

— Ho una casetta in periferia. Piccola, accogliente. Vuoi venire?

Lui accettò senza esitazioni.

Ora vivevano insieme. Al mattino passeggiavano nel giardino, si prendevano cura dei fiori che tanto amava Tonja, si sedevano su una panchina a ricordare la giovinezza. Sergej sentiva la vita riaccendersi dentro di sé. Gli anni avevano lasciato il segno, ma non importava: erano insieme.

Il loro amore, dimenticato dal tempo, era rinato. Non come un incendio impetuoso, ma come una dolce alba. E così era perfetto: autentico, profondo, vitale.

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La sera sedevano in veranda ad ammirare il tramonto, in silenzio. Le parole erano inutili: tutto era già stato detto. In quel silenzio viveva l’amore giunto in ritardo, ma arrivato davvero. Per sempre.

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