Non avevo mai compreso davvero quanto mio padre fosse minuzioso… e, sotto quella corazza, profondamente sensibile.
Sono il più piccolo di tre fratelli. Gli altri due sono più grandi di me. Mia madre morì quando avevo poco più di un anno — prima ancora che potessi dire “mamma”. Tre anni dopo papà si risposò con Linda: minuta, gentile, discreta.
Fu lei a crescermi. Ero un bimbo gracile, che stentava a mettere su peso; lei mi nutriva con pazienza infinita, cucchiaino dopo cucchiaino. Mi accompagnava all’asilo, mi aspettava all’uscita ogni giorno e, quando iniziai la prima elementare, era così orgogliosa di me che chiunque avrebbe pensato fossi suo figlio naturale.
Per me non era “la moglie di papà” né “la matrigna”: era mamma, a modo suo.
Per i miei fratelli, invece, rimase sempre un corpo estraneo.
Quando Linda entrò nelle nostre vite loro avevano 10 e 13 anni. Non la sopportavano. Li sentivo sussurrare: «Non è la nostra vera madre, è solo la nuova moglie di papà». E a me: «È gentile solo per far piacere a lui. Stai attento: prima o poi ti tradirà».
Qualche volta li credevo. Iniziai a respingerla, a fare i capricci, a provocarla. Un giorno, accecato dalla rabbia, tagliai persino una sua camicetta. Poi la vidi piangere da sola, in silenzio, seduta sul bordo del letto. Mi misi a piangere anch’io.
Crescendo ho capito. Non avevamo lo stesso sangue, ma Linda mi aveva dato più amore di chiunque altro. Cambiai rotta: cominciai a chiamarla “Mama Linda” e a volerle bene con la stessa misura con cui lei me ne aveva dato fin dal primo giorno.
Ricordo mio padre che la abbracciava e la pregava di avere pazienza con i miei fratelli: «Sono così perché hanno perso la madre da piccoli», le diceva. Lei annuiva, con gli occhi lucidi. Non alzò mai la voce con loro, nemmeno quando le parole facevano male. Forse proprio quella sua mitezza li irritava ancora di più.
Col tempo i miei fratelli si sposarono e se ne andarono. In casa restammo papà, Linda e io.
All’inizio di quest’anno papà si ammalò seriamente. E, all’improvviso, cominciò a essere duro con Linda: tutto quello che faceva lo infastidiva.
Poi, in un weekend in cui i miei fratelli erano tornati con le loro famiglie, successe l’impensabile: papà le urlò contro davanti a tutti e le ordinò di lasciare casa.
Lei non discuté. Scossa, preparò una borsa e aspettò che la tempesta passasse. Qualche settimana dopo papà convocò una riunione di famiglia. Arrivai in ritardo per lavoro: appena entrai sentii l’aria pesante. Linda stava di nuovo chiudendo la valigia. Papà, freddo, le disse soltanto:
«Tra noi è finita. Vai via. Non tornare.»
Rimasi di sasso. Chiesi spiegazioni. Non volle rispondere. Linda mi guardò con una dolcezza triste e mormorò:
«Non dire nulla. Lascia stare.»
Poi uscì con la sua valigia. Quell’immagine mi resterà addosso per sempre.
Volevo seguirla, ma papà mi bloccò con un urlo.
Due settimane dopo, è morto.
Linda si occupò dei funerali in silenzio, come una vedova autentica. Finita la cerimonia, se ne andò. I miei fratelli non la fermarono; anzi, bisbigliavano che papà l’avesse cacciata per impedirle di avanzare pretese sull’eredità.
Dopo i quarantanove giorni di lutto ci sedemmo a dividere i beni: la casa a tre piani in periferia, un piccolo terreno, qualche campo in campagna. Tutto ripartito in parti uguali tra noi tre.
Pensavo che la storia finisse lì.
Finché, al supermercato, incontrai un vecchio amico di papà. Dopo due parole di circostanza mi disse:
«Sai che quattro mesi fa tuo padre è venuto da me? Ha comprato una casa a mio nome.»
Lo guardai senza capire. Lui aggiunse:
«Poi ha trasferito tutto a Linda. Tutto. È tutto intestato a lei.»
Un mese prima di cacciarla.
Rimasi senza fiato.
Papà non l’aveva allontanata per paura che lei ci “derubasse”. Era il contrario: temeva che noi avremmo tolto tutto a lei.
Conosceva bene i sentimenti dei miei fratelli, e forse immaginava che, alla sua morte, l’avrebbero buttata fuori senza scrupoli. Così si mosse in anticipo: le garantì un tetto, un posto sicuro, una protezione.
Recuperai l’indirizzo di Linda e andai a trovarla. Una casetta semplice, con un piccolo portico in ordine, pieno di sole. Mi aprì con lo stesso sorriso di sempre, quella gentilezza calda che sapevo riconoscere a occhi chiusi.
Parlammo a lungo, nella quiete della sua cucina.
Fu lì che capii davvero: papà aveva fatto la cosa giusta. Se i miei fratelli avessero saputo, le avrebbero avvelenato la vita — forse le avrebbero portato via anche quel poco.
Linda non ha mai voluto nulla da noi. Ha solo amato e cresciuto un bambino non suo — me — in silenzio e con pazienza, per anni.
Non avrei mai immaginato che mio padre fosse così previdente, così attento. Ha tenuto nascoste le sue emozioni… ma alla fine ha protetto l’unica donna che ci aveva amati quando nessun altro lo faceva.