Oksana uscì dallo studio del ginecologo con le gambe di gomma.
Gravidanza, 8 settimane.
Quelle parole le rimbombavano in testa. Una cosa del genere non se l’era proprio sentita dire, soprattutto da un medico. Aveva dato la colpa alla stanchezza, alla mancanza di vitamine, agli ormoni e all’età che avanzava, ma di certo non le era passato per la mente che potesse essere incinta.
Aveva avuto Il’ja a 26 anni, un anno dopo il matrimonio.
Poi, col tempo, le era venuto il desiderio di un secondo figlio, magari una bambina… ma la gravidanza non era mai arrivata. Lei e Andrej stavano bene, gli esami non avevano mai mostrato nulla di grave, ma il test restava sempre negativo.
E adesso, a 43 anni, quella notizia le era piombata addosso come un fulmine a ciel sereno.
Camminava piano verso casa, ancora frastornata, chiedendosi come dirlo al marito, al figlio… Come l’avrebbero presa?
Non era forse troppo tardi per diventare di nuovo madre? Alcune sue coetanee già cullavano i nipotini, e lei… col pancione.
Il telefono squillò. Era la mamma.
— Pronto, tesoro, dove sei? Passi da noi? Tuo padre ha la pressione alta tutto il giorno, sarà il tempo…
— Sì, mamma, sto arrivando. Devo dirvi una cosa… non so nemmeno da dove cominciare.
— Vieni su, cara. Che notizia sarebbe? Spero non sia niente di grave…
— Sono stata dal ginecologo… sono incinta. Già al secondo mese.
La madre sgranò gli occhi.
— Santo cielo, figlia mia… ma come… Alla tua età… Il’ja ormai è grande, dovremmo pensare ai nipoti, non ai figli! E adesso che farai? Andrej cosa ha detto?
— Non lo sa ancora nessuno. Sto tornando ora dal medico.
Il padre, invece, aveva un’altra reazione.
— Ma che domanda è, moglie? Se è incinta, si tiene il bambino, e basta. Tua nonna ne ha cresciuti sette, ed eravamo tempi ben peggiori! Su, metti in tavola qualcosa, festeggiamo. Chissà, magari stavolta arriva una nipotina, la coccoleremo per bene…
— Sei impazzito, vecchio? Festeggiare? Con la pressione che hai? — borbottò la madre. — E tu, Oksana, pensaci cento volte. Ti serve davvero, a quest’età? Con i tempi che corrono, un figlio è già abbastanza. Tra vent’anni tu ne avrai sessanta e il bambino diciassette… ti sembra normale?
— Mamma, ci penseremo io e Andrej, va bene? — tagliò corto Oksana.
Quella sera, a cena, trovò il coraggio di parlare con il marito e con il figlio.
Il’ja la fissò come se non la riconoscesse.
— Sei incinta? Adesso? Ma sei già… vecchia! Vuoi davvero partorire?
— Figlio mio, non sono poi così vecchia. I medici dicono che va tutto bene, posso portare avanti la gravidanza… Non ti piacerebbe avere un fratellino o una sorellina?
— Ma perché vi serve un altro bambino? Non vi basto io? Non avete altre preoccupazioni? Proprio adesso vi viene la brillante idea di fare un neonato in tarda età…
Si alzò di scatto da tavola e si chiuse in camera, sbattendo la porta.
Oksana guardò Andrej, con un nodo alla gola.
— Andrej, dici qualcosa anche tu… Sei contento di diventare di nuovo padre?
Lui esitò.
— Io… è tutto così improvviso… Non lo so. Non siamo troppo grandi per ricominciare da capo? Ho sempre voluto un secondo figlio, lo sai, ma alla tua età… Non vorrei che ti facessi male, che fosse difficile per te partorire e stargli dietro… mi preoccupo per la tua salute.
— Oh, ma io posso ancora dare dei punti alle ventenni! — cercò di scherzare lei. — Guarda Il’ja: finirà la scuola, andrà a studiare fuori, e noi resteremo soli a guardare la TV. Così invece avremo di nuovo un bebè in casa, la vita avrà di nuovo un ritmo, un senso.
Si strinse nelle spalle.
— E poi, grazie a Dio, i soldi non sono un problema: il tuo lavoro va bene, la ditta cresce…
In quel momento Il’ja sbucò dalla stanza.
— Ah, quindi i miei studi e l’appartamento che volevate comprarmi andranno a farsi benedire, giusto? Arriva “l’altro bambino” e io passo in secondo piano. Non avrete più tempo né soldi per me.
— Ma cosa stai dicendo? — lo fermò Oksana. — Abbiamo già messo da parte per la tua università e per la casa, questo non cambia. Non devi preoccuparti.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, calcolatore.
— Beh, almeno ci sarà il capitale di maternità… Potreste usarlo per pagare il mio corso di studi. In fondo, non è poi così male che tu partorisca… — buttò lì, quasi tra sé.
Oksana sospirò.
— Mi ero persino dimenticata del capitale… Ma più che i soldi, mi preoccupa la mia età. Mi considereranno una “primipara attempata”, una gravidanza a rischio…
— Non avere paura, — la rassicurò Andrej. — Ce la farai. E tu, — disse rivolto al figlio, — diventerai fratello maggiore. Te lo immagini?
— No. E non voglio immaginarmelo. Non voglio altri bambini in famiglia. Ma se proprio vi siete fissati, fate quello che volete: partorite, crescerlo… Io però lo dico subito: quel bambino non lo amerò. I neonati mi fanno schifo: piangono, sporcano tutto… bleah.
Quelle parole ferirono profondamente Oksana. Capiva che dietro c’era gelosia, paura di perdere il suo posto, ma quel rifiuto assoluto la devastava.
Anche la suocera non fu tenera.
— Siete fuori di testa? — esclamò quando lo seppe. — Ma quali bambini, Oksana! Tra un po’ compi cinquant’anni, dovresti pensare alla pensione, non ai pannolini! E Andrej non è un ragazzino neanche lui, solo perché è un anno più giovane non vuol dire che abbia vent’anni! Non vi basta Iljuša? E poi noi non abbiamo più le forze, non contare su di noi per fare da babysitter. Io, al posto tuo, farei un aborto e chiuderei lì la faccenda!
— Questa decisione spetta a noi, non a voi, — rispose Oksana, gelida. — Non vi stiamo chiedendo aiuto, vi stiamo solo informando.
Quando restò sola, si chiuse in camera e scoppiò a piangere.
La gravidanza, di per sé, era già stata uno shock. Ma sentirsi così poco sostenuta da tutti le spezzava il cuore. Neppure Andrej sembrava davvero felice… E Il’ja aveva dichiarato senza mezzi termini che non avrebbe mai voluto bene a quel bambino.
Confusa, telefonò a un’amica.
— Non ci credo… Sei incinta? Sei sicura che non sia solo l’inizio della menopausa? — rise nervosamente l’altra. — E quindi… vorresti tenerlo? Io non rischierei, al tuo posto. E se nasce con la sindrome di Down? Conosco una donna che ha partorito tardi, il bimbo è malato e loro ormai vivono solo per assisterlo…
Dopo quella conversazione, Oksana decise che non avrebbe più detto niente a nessuno.
Quel che è fatto è fatto. Non avrebbe tolto la vita a suo figlio.
La gravidanza, inaspettatamente, procedeva senza problemi. Esami, ecografie, screening: tutto nella norma.
Il’ja, però, continuava a tenerla a distanza. Prima del ballo di fine anno le disse:
— Mamma, ti prego, non venire alla cerimonia. Mi vergogno a presentarmi con una madre incinta. Vieni solo tu, papà. Dirò che sei malata e sei rimasta a casa.
— Ma cosa ti salta in mente? — rispose Oksana, ferita. — Ho sempre sognato di essere con te alla festa di fine scuola. Sei il mio bambino adorato, voglio vederti con il diploma in mano… Come fai a vergognarti di tua madre?
— Per ora sono il tuo bambino adorato, sì. Tra un po’ avrai qualcun altro, più piccolo, da coccolare… E i compagni rideranno di me, perché mia madre, alla sua età, si mette a fare figli!
Quelle frasi le andarono dritte al cuore. Oksana si rese conto che, forse, gli avevano dato troppo, senza insegnargli a condividere.
Alla fine, però, andò lo stesso alla cerimonia. Rimase in disparte, con il pancione ben evidente, e il figlio non si avvicinò a lei neppure una volta, fingendo di non vederla.
Qualche settimana prima del termine, Oksana ebbe un malore. L’ambulanza la portò in ospedale, e i medici decisero di tenerla lì fino al parto per sicurezza.
Poco prima della data prevista, nacque Mašen’ka: una bambina sana, tranquilla, con gli occhi vispi.
Tutti chiamavano per fare gli auguri. Tutti, tranne Il’ja. Studiava ormai in un’altra città e tornava raramente.
Quando la piccola compì un mese, lui finalmente rientrò a casa. Oksana era agitata: come avrebbe reagito davanti alla sorellina?
— Amore, — disse piano, — ti presento Mašen’ka, la tua sorella minore.
— Sì, so come si chiama, — borbottò lui. — Adesso mangio qualcosa e poi esco, vado da un amico.
— Va bene. Vado in cucina a preparare la tavola…
Dopo qualche minuto tornò per chiamarlo. Si fermò sulla soglia, sorpresa.
Il’ja era in camera, in piedi accanto alla culla, con la sorellina tra le braccia. La teneva un po’ goffo, stretta nella copertina, rigida come un soldatino in parata.
— Ha cominciato a mugugnare e agitarsi, — mormorò lui, imbarazzato, — così l’ho presa in braccio…
— Bravo, figliolo. Non hai più paura a tenerla?
— Mamma, è così piccola… e buffa… Guarda come arriccia il nasino… Oh, hai visto? Mi ha sorriso!
Oksana li osservava in silenzio, quasi incredula. Il figlio, che fino a pochi mesi prima rifiutava solo l’idea della sua nascita, ora sorrideva incantato a quella creaturina. E lei gli ricambiava il sorriso, come se lo riconoscesse.
— Mamma, stasera posso guardare come le fai il bagnetto? — chiese lui, con gli occhi lucidi. — Sembra una bambolina… e mi pare perfino che mi somigli. Sono stato davvero uno sciocco a non volerla…
— Certo che puoi, tesoro. Anzi, mi darai una mano.
Col tempo, Mašen’ka divenne il centro della famiglia.
I nonni, da una parte e dall’altra, la viziarono come se fosse il primo nipote. Nessuno parlava più dei dubbi, delle paure, dei consigli di abortire. Tutto sembrava cancellato.
E tra tutti, quello che più la adorava era proprio lui, Il’ja.
Quello che, all’inizio, sbuffava e ripeteva:
— Non ci serve un altro bambino.
E che adesso non riusciva più a separarsi da “l’altro bambino”.