Ho visto che mia nuora sgattaiolava ogni giorno verso il bosco a correre, così un giorno l’ho seguita… e quello che ho scoperto mi ha lasciata di stucco.

Non ci feci troppo caso la prima volta che vidi mia nuora sgattaiolare verso il bosco. Pensai a una passeggiata per schiarirsi le idee, niente di più. Ma con il passare dei giorni, poi delle settimane, quelle “uscite” serali divennero sempre più frequenti. Diceva che andava a cercare funghi, ma tornava sempre con il cestino vuoto. Nessuna traccia di porcini, ovuli o altro. Qualcosa non quadrava.

Per quarant’anni ho lavorato nel mondo delle aziende, partendo dal livello più basso fino a diventare consulente senior in management. In mezzo a bilanci, strategie e riunioni interminabili, una cosa l’ho imparata bene: l’istinto, quando si tratta di persone e situazioni, raramente sbaglia.

Advertisements

Eppure, seguire Kate in quel bosco, quella sera… quella scelta mi pesa più di qualunque firma apposta in calce a un contratto milionario.

Lasciatemi fare un passo indietro, prima di raccontarvi cosa ho visto quella notte.

Io e mia moglie Fiona ci siamo conosciuti all’università. Ci siamo sposati giovani, con poche certezze in tasca, e abbiamo costruito tutto da soli, un passo alla volta. Come tutte le coppie, non siamo stati risparmiati dalle tempeste.

La più dura arrivò nel 1989. Lavoravo più di settanta ore a settimana, sempre in viaggio, sempre stanco. Fiona e nostro figlio li vedevo a malapena. A poco a poco, quella che era una famiglia divenne una convivenza fredda tra due estranei nel medesimo letto.

Non mi resi conto della gravità della situazione finché non la vidi con la valigia pronta.

«Così non posso andare avanti, Misael», singhiozzava. «Sto crescendo nostro figlio da sola, mentre tu rincorri solo promozioni e bonus.»

Ma invece di chiudere la porta e andarsene, mi propose la terapia di coppia. La sua pazienza – e la sua intelligenza – ci salvarono.

Non dimenticherò mai il dottor Williams e quel lungo percorso in cui abbiamo rimesso mano alle fondamenta del nostro matrimonio. Fu allora che capii davvero che il successo, senza qualcuno accanto con cui condividerlo, è solo un numero in banca. Ma questa è un’altra storia.

Nostro figlio Leonard è sempre stato il figlio che tutti i genitori sognano: ottimi voti, capitano della squadra di baseball, educato, rispettoso. Gli insegnanti lo elogiavano, gli allenatori lo tenevano come esempio. Quando fu ammesso a una prestigiosa università, io e Fiona eravamo al settimo cielo.

Poi arrivò la laurea in piena recessione. Non il momento migliore per entrare nel mercato del lavoro.

Nonostante il titolo importante in economia, Leonard trovò solo un posto mediocre, sottopagato. Lo stipendio bastava a malapena per l’affitto e per tenere a bada i debiti degli studi.

Fu in quel periodo che conobbe Kate.

Ricordo benissimo la mattina in cui ci annunciò che voleva sposarla. Era una domenica. Fiona stava preparando i suoi pancake ai mirtilli, il profumo del caffè riempiva la cucina.

«Mamma, papà», disse Leonard, giocherellando con il tovagliolo, «devo dirvi una cosa importante.»

«Dimmi, tesoro», chiese Fiona, girandosi dal fornello.

«Voglio chiedere a Kate di sposarmi.»

Fiona quasi lasciò cadere la spatola. Avevamo visto Kate solo un paio di volte, e c’era qualcosa in lei che ci metteva entrambi a disagio. Quella decisione improvvisa non ci tornava proprio.

«Figlio mio», iniziai con cautela, «otto mesi non sono tanti per conoscere davvero una persona.»

«Papà, ti prego», mi interruppe Leonard. «Io la amo. Quando è quella giusta, lo senti e basta.»

«Amore», intervenne Fiona, «ricordi Jamie, quella dell’ufficio contabilità? Anche allora eri convinto che fosse “la donna della tua vita”.»

Leonard si irrigidì. «È diverso. Kate è diversa.»

«Diversa in che senso?» insistetti. «Non parla mai della sua famiglia, glissa sul suo passato, evita ogni domanda…»

«Perché ha avuto un passato difficile!» esplose Leonard, battendo il pugno sul tavolo. Le tazze tremarono. «Non tutti vengono da una casa felice come la vostra. Non sapete cosa ha vissuto!»

«Ti chiediamo solo di non correre», disse Fiona, con voce rotta. «Prenditi il tuo tempo.»

«No, la state giudicando senza conoscerla. Credevo sareste stati felici per me», tagliò corto lui.

Che altro potevamo fare? Alla fine abbiamo ceduto. Gli abbiamo dato la nostra benedizione, anche se il mio istinto urlava di no. Si sono sposati in primavera e, per risparmiare, si sono trasferiti da noi.

All’inizio, Kate sembrava la nuora ideale. Lavava i piatti, portava fiori a Fiona, mise persino in ordine il nostro vecchio garage che usavo come deposito di “cose che un giorno potrebbero servire”.

Poi la facciata cominciò a incrinarsi.

Prima arrivarono i piccoli scatti di nervosismo.

Si irritava per gli asciugamani bagnati lasciati da Leonard sul pavimento del bagno, sbatteva porte se Fiona le suggeriva una ricetta, rispondeva seccata per futilità.

Pensammo fosse lo stress: aveva perso il lavoro e non riusciva a trovarne un altro.

«È solo frustrata», diceva Leonard. «Il mercato è una giungla, papà. È dura per tutti.»

Poi cominciarono le “sparizioni”. Uscite improvvise, in orari strani, sempre con una giustificazione pronta.

«Vado da Miley!» gridava dalla porta.

Oppure: «Jenny ha bisogno di me col cane, è malato!»

O ancora: «Devo scappare, c’è un’emergenza al club del libro!»

Quando Leonard accennava alla possibilità di conoscere queste fantomatiche amiche, Kate si affrettava a scoraggiarlo.

«Miley sta passando una brutta rottura, non è proprio in vena di conoscere gente nuova», spiegava.

«Jenny è molto riservata, si sente a disagio con chi non conosce.»

A lungo ho osservato in silenzio questo schema ripetersi. Leonard pareva cieco, ma io notavo il telefono che non le usciva mai dalle mani, le telefonate in corridoio, le conversazioni bisbigliate.

Poi arrivarono le uscite nel bosco.

Una sera tornai tardi da una cena con un vecchio collega e trovai Fiona che camminava avanti e indietro in cucina.

«È nel bosco. Di nuovo», mormorò. «È la terza volta solo questa settimana.»

«Magari sta davvero cercando funghi», provai a dire, poco convinto persino io.

«Ma ti senti?» sbottò Fiona. «Funghi, di sera, nel bosco, da sola? Non prendermi in giro, Misael. Secondo me tradisce il nostro Leonard.»

«E su cosa ti basi?» chiesi, cercando di rimanere lucido.

Fiona si lasciò cadere sulla sedia.

«Su niente di concreto», ammise, con le lacrime agli occhi. «Ma qualcosa non va. Lo sento. Nostro figlio merita meglio di una bugiarda.»

Per due giorni quelle parole mi ronzarono nella testa. L’idea che qualcuno potesse ferire Leonard, prenderlo in giro sotto il nostro stesso tetto, mi consumava.

Così, quando il giovedì sera la vidi sgusciare fuori con un cestino in mano, decisi di fare ciò che ancora oggi non so se perdonarmi.

La seguii.

Il sentiero nel bosco era difficile da percorrere al buio, ma dopo una vita passata in quella zona conoscevo ogni pietra, ogni radice sporgente.

Kate camminava spedita, senza mai voltarsi, come se sapesse esattamente dove stava andando. Arrivò fino a una vecchia baracca di legno, mezza mangiata dal tempo. Era la capanna di caccia di un vicino, abbandonata da quando lui era morto, quindici anni prima.

La vidi entrare, guardandosi attorno.

Mi avvicinai e mi sistemai dietro una finestra lurida.

Quello che vidi mi rimarrà impresso per sempre.

Kate cominciò a trasformarsi davanti a uno specchio scheggiato. Dal cestino tirò fuori un completo elegante fatto su misura, una parrucca corta e scura e un paio di baffi finti. Si truccò con cura, modificò le sopracciglia, sistemò il colletto della camicia. Quando finì, davanti a me non c’era più mia nuora. C’era un uomo sconosciuto.

Arretrai e mi nascosi dietro la capanna mentre lei – o lui – si preparava a uscire.

Quando ricomparve, non era più Kate. Persino il modo di camminare era cambiato: passi sicuri, spalle dritte, andatura maschile.

La seguii ancora.

Attraversò il bosco, tagliò verso la strada principale e si diresse verso una zona piena di ristoranti. La osservai entrare in un caffè e sedersi al tavolo di fronte a un signore anziano, vestito con un abito impeccabile.

Dalla finestra vedevo bene le loro espressioni.

Ridevano. Lui le – o meglio, gli – porgeva la mano con familiarità. Dopo un po’, l’uomo le baciò la mano con un gesto affettuoso, quasi cavalleresco. Rimasi lì, un’ora intera, con lo stomaco chiuso.

Alla fine si salutarono e Kate, di nuovo nei panni di “Karl”, tornò nel bosco.

Quando rientrò a casa più tardi quella sera, trovò me, Fiona e Leonard seduti in salotto. L’atmosfera era tesa, come in un tribunale poco prima della sentenza.

«Kate», disse Leonard, con la voce che gli tremava. «Mi stai tradendo?»

Lei si bloccò sulla soglia, sbiancando. «Cosa? Di che stai parlando?»

«Ti ho visto», intervenni io, cercando di mantenere la calma. «La capanna nel bosco. Il travestimento. L’uomo al caffè. Ho visto tutto.»

«Io… non è come sembra», balbettò lei.

«Ah, no?» chiese Leonard, piantandole addosso gli occhi.

«Quell’uomo è molto ricco», disse, parlando in fretta. «Crede che io sia un uomo di nome Karl. Mi ha promesso di lasciarmi qualcosa nel suo testamento, purché continui a incontrarlo per cena ogni settimana. Non l’ho mai toccato, Leonard! L’ho fatto per noi, per il nostro futuro!»

Io e Fiona ci scambiammo uno sguardo incredulo. Nemmeno nei nostri sospetti più cupi avevamo immaginato una cosa del genere.

«Per noi?» Leonard si alzò in piedi. «Hai costruito una bugia su un’altra bugia. Hai ingannato un uomo anziano, hai mentito a me, hai preso in giro i miei genitori. Questa non è la donna che ho sposato.»

«Ti prego», scoppiò a piangere Kate, allungando la mano verso di lui. «Volevo solo darci una vita migliore. Con gli stipendi che abbiamo, non andiamo da nessuna parte. Ho visto un’opportunità e…»

«Un’opportunità per raggirare qualcuno?» la interruppe Leonard. «Per vivere una doppia vita? No. Basta. È finita. Voglio il divorzio.»

«Leonard, no, ti prego!» gridò Kate. «Non farlo! Possiamo aggiustare le cose, posso smettere, giuro…»

Le sue suppliche echeggiavano per casa mentre lui saliva le scale, deciso. Fiona lo seguì subito. Io restai in salotto, seduto sulla poltrona, a guardare Kate che crollava in lacrime sul divano.

In quel momento mi sembrò una perfetta sconosciuta che si era introdotta nella nostra famiglia solo per portare caos e menzogne. Eppure, mentre la vedevo uscire dal soggiorno, con le spalle curve e il viso stravolto, una domanda iniziò a martellarmi la mente.

Ho fatto davvero la cosa giusta a seguirla?

Se non l’avessi spiata, Leonard sarebbe ancora sposato? O avrebbe sofferto comunque, solo più a lungo?

Non ho ancora una risposta. So solo che il mio istinto su Kate non si sbagliava. Ma il modo in cui la verità è venuta a galla… quello sì, è stato brutale.

Advertisements

E mi chiedo, ogni tanto, se certi misteri della vita non debbano rimanere tali. Se sia davvero sempre necessario scoprire tutto, fino in fondo. Perché a volte, quando sollevi il velo, quello che trovi dall’altra parte non ti ridà la pace: te la porta via.

Leave a Comment