“Julia giocherellava nervosamente con la tracolla della borsa, in piedi in fila al check-in. Mancava ancora un giorno intero all’anniversario di sua suocera — più precisamente, della sua ex suocera — ma aveva scelto apposta quel volo anticipato. Sapeva che Oleg faceva di solito tutto all’ultimo momento, quindi con ogni probabilità avrebbe preso il volo del mattino seguente. Tre anni dopo il divorzio erano riusciti a convivere nella stessa Mosca senza incontrarsi neanche una volta, e ora meno che mai voleva infrangere quell’accordo non scritto.
«Posto 12A», lesse sulla carta d’imbarco. Vicino al finestrino, proprio come piaceva a lei. In aereo Julia tirò fuori, come d’abitudine, un libro: un romanzo nuovo che aveva iniziato appena il giorno prima e che non riusciva a posare. Una storia d’amore, tradimento e perdono. Un tempo evitava trame del genere, ma il tempo guarisce.
«Julia?» — una voce familiare la fece sobbalzare. — «Che incontro…»
Alzò lentamente gli occhi. Oleg stava nel corridoio, stringendo il manico della valigia. Ancora in forma, con la sua giacca grigia preferita. Solo che ora alle tempie gli spuntavano fili d’argento che lei non aveva notato prima.
«Sei sempre in ritardo», le sfuggì invece di un saluto.
«E tu programmi sempre tutto in anticipo», sogghignò lui, tirando fuori un biglietto dalla tasca. — «Be’… 12B.»
Julia sentì arrossire le guance. Tre ore di volo accanto alla persona che aveva evitato con tanta cura per tutti questi anni. Il destino pareva ridere dei loro piani.
«Potrei scambiare il posto con qualcuno…» iniziò Oleg.
«Non c’è bisogno», lo interruppe Julia. «Siamo adulti, dopotutto.»
Oleg annuì e si sedette accanto a lei. Da lui veniva lo stesso profumo di colonia, e dentro le punse all’improvviso. Quante mattine si era svegliata con quell’odore…
«Come va il lavoro?» chiese dopo il decollo, quando il silenzio divenne insopportabile.
«Bene. Ho aperto il mio studio di yoga», cercò di mantenere la voce ferma. — «E tu? Sei ancora lì?»
«No, sono passato alla consulenza. Ricordi? L’ho sempre sognato.»
Certo che ricordava. Come ricordava quanto ne avessero discusso. Lei temeva i cambiamenti, lui desiderava sempre qualcosa di nuovo. Ora, anni dopo, ognuno aveva ottenuto ciò che voleva. E allora perché le faceva ancora male il cuore?
«La mamma sarà felice di vederti», disse Oleg dopo una pausa. «Conserva ancora quel vaso di ceramica che le hai regalato all’ultimo anniversario.»
«Nina Vasilyevna è sempre stata…» Julia esitò, cercando le parole, «…molto gentile con me.»
«Anche dopo il divorzio diceva che eri la nuora migliore che si potesse sognare.»
Julia sentì un pungiglione traditore agli occhi. Tirò fuori il libro, cercando di nascondere l’emozione.
«Che cosa stai leggendo?» Oleg diede un’occhiata alla copertina.
«Tempo di perdonare», rispose, e entrambi rimasero in silenzio, cogliendo l’ironia del titolo.
Trascorsero il resto del volo in silenzio, ma era un silenzio diverso — non teso come una corda tirata, bensì quasi accogliente, come ai vecchi tempi. Quando l’aereo atterrò a Saratov, Oleg l’aiutò a prendere la borsa dalla cappelliera.
«Magari prendiamo un taxi insieme?» propose. «In fondo andiamo nella stessa direzione.»
Julia esitò. Tre anni prima si erano separati convinti che non si sarebbero più seduti fianco a fianco. E invece eccoli lì, e il mondo non era crollato.
«Va bene», annuì. «Ma tengo d’occhio il percorso, perché tu litighi sempre con il navigatore.»
Oleg rise, e qualcosa si mosse dentro di lei a quel riso familiare. Forse a volte bisogna lasciare andare il passato per rendere il presente un po’ più luminoso?
Scendendo dall’aereo, si sorprese a pensare che, per la prima volta dopo tanto tempo, non rimpiangeva quell’incontro casuale. Davanti a loro c’erano l’anniversario, la tavola imbandita e gli sguardi impacciati dei parenti. Ma ora sapeva che ce l’avrebbero fatta. In fondo, era sempre stato così.
Il taxi serpeggiava per le strade serali di Saratov. Julia, fedele alla parola, controllava il percorso, correggendo di tanto in tanto l’autista. Oleg sedeva accanto a lei, separati solo da una borsa sul sedile di mezzo.
«Qui gira a destra», disse Julia, e Oleg sorrise suo malgrado: lei ricordava sempre la strada per casa dei suoi genitori meglio di lui.
«Ti ricordi la prima volta che siamo andati da mia madre?» chiese all’improvviso. — «Eri così nervosa…»
«Altroché!» sbuffò Julia. — «Mi cambiai tre volte prima di uscire. Volevo fare bella figura.»
«E finisti per rovesciarti il borsch addosso…»
Risero, e per un attimo parve che il tempo fosse tornato indietro. Ma poi il taxi si fermò davanti a una casa familiare, e quel momento si sciolse nel crepuscolo della sera.
Nina Vasilyevna li accolse sulla soglia, alzando le mani:
«Siete arrivati insieme? Che sorpresa!»
«Ci siamo solo incontrati per caso in aereo», si affrettò a spiegare Julia, cogliendo la scintilla di speranza negli occhi dell’ex suocera.
«Entrate, entrate! Julia, ti ho preparato la tua stanza, la stessa…»
Julia si bloccò. La “sua” stanza — la camera al secondo piano, dove lei e Oleg alloggiavano sempre in visita. Dove, al mattino, il sole disegnava motivi sulla carta da parati e dal davanzale si vedeva il vecchio melo…
«Mamma, forse dovrei restare in salotto?» iniziò Oleg.
«Neanche per sogno!» lo tagliò corta Nina Vasilyevna. «Domani lì ci saranno gli ospiti. Julia in camera da letto, tu nella tua vecchia stanza. Tutto come al solito.»
«Tutto come al solito» — quelle parole le rimbombarono in testa. Niente era più “come al solito”, ma nessuno osava contraddire Nina Vasilyevna.
La serata trascorse in un turbine di faccende. Julia aiutò con i preparativi per il giorno dopo, mentre Oleg sistemava vecchie scatole in soffitta — sua madre glielo chiedeva da tempo. Evitarono con cura di restare da soli, ma in una casa sola non era semplice.
Di notte, Julia non riuscì a dormire a lungo. Il letto le sembrava troppo largo, troppo vuoto. Oltre la parete, nella cameretta, scricchiolavano le assi — a quanto pare neppure Oleg dormiva. Ricordava quei suoni: tre passi verso la finestra, quattro indietro. Camminava sempre così quando era immerso nei pensieri.
A un certo punto tutto tacque. Julia si voltò su un fianco, guardando fuori dalla finestra. Il melo lì fuori frusciava ancora le foglie, e le parve che gli ultimi tre anni fossero solo un lungo sogno. Ma quella era la realtà — erano lì, sotto lo stesso tetto, gli stessi e al tempo stesso completamente diversi.
La mattina cominciò con l’odore di caffè appena fatto e la voce di Nina Vasilyevna che canticchiava qualcosa in cucina. Julia scese per prima, aiutò ad apparecchiare. Quando apparve Oleg, spettinato e un po’ impacciato, si scambiarono solo un cenno. Bevvero il caffè insieme, parlarono del tempo, della festa imminente, di tutto e di niente. E in quella ordinarietà c’era qualcosa di dolorosamente familiare.
Verso le cinque di pomeriggio la casa di Nina Vasilyevna si riempì di ospiti. Julia aiutò a sistemare gli antipasti, muovendosi con destrezza tra sala da pranzo e cucina, come se quei tre anni non fossero mai passati. Oleg accoglieva gli invitati, lanciando di tanto in tanto uno sguardo verso di lei.
«Julia, cara», la fermò nel corridoio Nina Vasilyevna, stringendola forte. — «Sono così contenta che tu sia venuta.»
«Buon anniversario», porse Julia un mazzo di fiori e una piccola scatola. — «È un bracciale, fatto a mano. Ricorda? Ne avevi visto uno simile nella tua gioielleria preferita.»
Gli occhi dell’anziana si inumidirono:
«Ti ricordi persino questo… Siediti con me un minuto.»
Si sistemarono in una stanza adibita a biblioteca. Nina Vasilyevna prese la mano di Julia:
«Sai, ho sempre pensato che tu e Oleg vi siate affrettati con il divorzio. Entrambi orgogliosi, entrambi testardi…»
«Nina Vasilyevna…»
«No, no, non ti sto facendo pressione. Solo che… lui è cambiato, Julia. E anche tu. A volte ci vuole tempo per capire certe cose.»
La festa continuò. Si fecero brindisi, la musica suonò, qualcuno ballò perfino. Julia si scoprì a cercare costantemente Oleg tra la folla degli invitati. E sembrava che lui facesse lo stesso.
Più tardi, quando la maggior parte degli ospiti se n’era andata, si ritrovarono sulla vecchia veranda. Oleg le porse un bicchiere di vino:
«Ti ricordi come qui progettavamo il nostro futuro?»
Julia annuì. Era proprio su quella veranda che, un tempo, avevano deciso di sposarsi.
«Sai, allora mi è preso il panico», disse all’improvviso Oleg. — «Quando hai cominciato a parlare di figli, di comprare una casa… Mi spaventava la responsabilità, ho iniziato a rifugiarmi nel lavoro.»
«E io non capivo la tua paura», rispose piano Julia. — «Spingevo, incalzavo… Mi sembrava che, se non avessimo agito subito, ci saremmo persi qualcosa d’importante.»
«Non eravamo pronti ad ascoltarci.»
Le stelle brillavano sopra il giardino, proprio come tanti anni fa. Da qualche parte in casa suonava una musica soffusa.
«Da poco ho iniziato ad andare da una psicologa», confessò Julia. — «Sai cosa mi ha detto? Che a volte distruggiamo le relazioni non perché smettiamo di amare, ma perché non sappiamo amare noi stessi.»
Oleg fece roteare pensieroso il vino nel bicchiere:
«Mi sembra azzeccato. Anch’io in questi anni ho imparato molto. Per esempio, che la carriera è fantastica, ma tornare in un appartamento vuoto è dura.»
«Quindi non hai trovato nessuno?» chiese cauta Julia.
«Ci sono stati tentativi… Ma non è mai sembrato giusto. E tu?»
«Lo stesso.»
Tacerono. Petali bianchi cadevano dai meli, vorticosi nella luce del lampione.
«Sai», disse lentamente Oleg, «forse potremmo ricominciare? Non la relazione, no… Solo… parlare? Senza cercare di aggiustare o dimenticare tutto subito.»
Julia lo guardò. Nei suoi occhi c’era la stessa incertezza che nei suoi.
«Proviamoci», rispose. — «Ma con calma. Passo dopo passo.»
Dall’interno della casa arrivò la voce di Nina Vasilyevna che li chiamava per il tè. Si scambiarono uno sguardo e sorrisero come complici. Li aspettava un’intera notte di conversazioni e, forse, l’inizio di qualcosa di nuovo. O di un vecchio ben dimenticato — il tempo l’avrebbe detto.”