«Prenderò in moglie la prima donna che mi capita. Un ricco scapolo ha dato un passaggio a una sconosciuta segnata da cicatrici lungo la strada.»

Massimiliano Artem’ev amava trascorrere il venerdì mattina sulla sua loggia. Era quel momento speciale in cui la città sembrava ancora sonnecchiare dopo una settimana intensa di lavoro, mentre lui, ormai libero dagli impegni, si preparava a godersi il meritato fine settimana. Orgoglioso di essere il primo a staccare dal frenetico mondo bancario, respirava con soddisfazione l’aria fresca che odorava di pioggia e di tigli in fiore.

Con un sorso di caffè ormai tiepido, posò lo sguardo sugli strumenti da pesca accuratamente sistemati nell’angolo: la canna nuova, il mulinello scintillante e la cassetta delle esche colorate, veri tesori per un appassionato come lui.

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Il telefono vibrò in tasca: era sua madre.
— Ciao mamma — rispose sorridendo.
— Massimushka, vieni a trovarmi, ho preparato i tuoi pirozhki preferiti.
— Arrivo subito, ma non per molto: gli amici mi aspettano al lago.

— Di nuovo a pescare? — scherzò lei, con un tono affettuoso ma un po’ severo. — Hai già trentadue anni, potresti portare a casa qualcuno!
— Credo nel destino, mamma — disse lui fissando il panorama oltre la loggia.

Più tardi, al casale di Pavel, tra sauna e spiedini, i discorsi si accesero. Le donne dei dintorni passavano di continuo, lanciando sorrisi compiaciuti.
— Proviamo la tua teoria sul destino? — propose Pavel con un sorriso furbo. — Facciamo a chi resiste più a lungo a non distogliere lo sguardo. Chi cede per primo perde.
— E cosa si perde? — chiese Massimiliano, accettando subito la sfida.
— Il perdente dovrà fermarsi lungo la strada e chiedere in sposa la prima donna che incontrerà.

Forse la birra o il sole gli avevano annebbiato la mente, fatto sta che Massimiliano perse. Quando una donna bionda e alta incrociò il suo sguardo, lui distolse lo sguardo e sorrise. I suoi amici esplosero in risate e grida di vittoria.
“Parola è parola.”

Poco dopo erano in macchina. Il cuore di Massimiliano oscillava tra imbarazzo ed eccitazione. A pochi chilometri notarono una figura solitaria accanto a un cespuglio di bacche: una donna minuta, vestita con un abito di cotone a fiori, con un fazzoletto stretto intorno alla testa che le copriva quasi tutto il volto.

— Dai, Principe, fallo! — lo incitarono gli amici.
Massimiliano scese dall’auto e si avvicinò. La donna lo guardò con occhi azzurri limpidi ma timorosi. Le sue mani erano segnate da profonde cicatrici. Silenziosa, estrasse un taccuino e una matita, offrendoglieli. Sopra era scritto, con una calligrafia precisa: “Cosa desidera?”

Le parole che aveva preparato svanirono all’istante. Di fronte a lui c’era una donna fragile e silenziosa, e lui si sentì goffo e in colpa.
— Mi scusi… È stata solo una scommessa stupida tra amici. Ora devo… chiederle la mano.

Si aspettava rabbia o disprezzo, ma lei annuì lentamente, quasi accettando quel gesto. Strappò la pagina e gliela porse: c’era un indirizzo.

— Mamma, hai visto? Quando trovo qualcuno ti presento — disse al telefono con un bacio.

Ripensò alla tradizione di ogni fine settimana: il casale di Pavel, gli spiedini, la sauna e le chiacchiere infinite con gli amici. Pavel e Grisha, amici di vecchia data, avevano già famiglia, e spesso lo punzecchiavano:
— Allora, ultimo scapolo, pronto a mollare?
— La nostra aquila non si lascia catturare facilmente — rideva Pavel.

Massimiliano sorrideva a stento. Lui aspettava il vero amore.
— Mi sposerò solo se lo sento davvero — confessò serio — quando capirò che quella è la persona con cui voglio condividere ogni respiro.

— Ah, Massì, sei un romantico — sospirò Grisha — le principesse sono solo nelle favole.

Il giorno seguente, preso dal rimorso, Massimiliano si recò all’indirizzo indicato. Trovò una casetta ai margini del paese, con gerani alle finestre e peonie rigogliose. Seduta su una panchina vicino al cancello c’era una donna dal volto gentile ma severo.
— Lei cerca Vera? — chiese senza mezzi termini.
— Sì, mi chiamo Massimiliano.
— Io sono Galina Sergeevna, sua nonna. Con quale scopo è qui?

Massimiliano abbassò gli occhi.
— Ho fatto uno stupido gioco. Vorrei spiegare.

Galina sospirò.
— Voi cittadini vi divertite, ma per lei la vita è stata dura. Quelle cicatrici… sono il segno di un incendio in cui ha perso i genitori. L’ho salvata io dalle fiamme. Anche il volto è rimasto segnato, e ha perso la voce: da allora comunica solo scrivendo.

Proprio in quel momento apparve Vera. Vide Massimiliano, si fermò e strinse il taccuino al petto.
— Sono venuto per scusarmi — disse lui, guardandola negli occhi azzurri — e… se vuole, possiamo fare finta di sposarci. Vivremo insieme per un po’, poi potremo separarci. Ma io la sosterrò sempre, con tutto quello che posso.

Non sapeva perché, ma qualcosa in quel silenzio e in quella forza fragile lo aveva toccato profondamente. Vera scrisse qualcosa e lo mostrò alla nonna, che la lesse a lungo prima di guardare entrambi.
— Va bene — disse — ma con una sola condizione: non farla soffrire. È tutto ciò che ho da darle. Se la tradirai, ne pagherai il prezzo.

La cerimonia fu breve e semplice. Massimiliano organizzò tutto con la precisione di un manager. In Comune c’erano solo loro quattro: i due sposi e gli amici increduli. Vera indossava un abito crema semplice ed elegante, con un velo leggero. Quando l’ufficiale pronunciò le parole, Massimiliano sollevò il velo e la sfiorò con un bacio.

Sentì un brivido correre lungo la schiena di Vera, e provò una tenerezza mai conosciuta prima. Dopo la firma tornarono dalla nonna, che aveva preparato un pranzo caldo e accogliente, ben più familiare di qualunque ristorante. Verso sera, Vera lo guardò e lui vide il suo primo sorriso vero, quello degli occhi.

Quello fu il primo scintillio di qualcosa di autentico: Massimiliano non voleva più andarsene. La sua “moglie finta” gli era già diventata cara.

Tornato nella sua casa spoglia, non riuscì a chiudere occhio. Girava nervoso per la stanza, prigioniero dei suoi pensieri. La mattina seguente si confidò con sua madre, Nadezhda Petrovna, una donna capace di ascoltare con il cuore.

— Mamma, cosa devo fare? — chiese con voce tremante.
— Hai combinato questo pasticcio, figlio mio — rispose lei con dolce fermezza — ora devi fare l’uomo e mantenere la promessa. Hai dato speranza a una persona: non puoi abbandonarla.

Rinfrancato, tornò dal borgo. Convincere Galina non fu difficile: aveva visto la gioia negli occhi di Vera. Quando rimasero soli, Vera si tolse il fazzoletto, aprì qualche bottone della camicetta, mostrando cicatrici rosse e serpentine sul collo e sulla guancia. La guardò spaventata, temendo il suo disgusto.

Ma Massimiliano non distolse lo sguardo. Si avvicinò piano e le baciò la fronte, proprio sopra una cicatrice. Vera chiuse gli occhi, e una lacrima solitaria scivolò sulla sua guancia: fu il loro primo momento di fiducia reciproca.

L’incontro tra Vera e Nadezhda fu caloroso: la madre di Massimiliano la accolse come una figlia, promettendo di aiutarla a ritrovare la voce perduta.

Quella sera cenarono insieme nell’appartamento di Massimiliano. Vera, ora timidamente sorridente, parlava con la madre come se fosse sempre stata parte della famiglia.

Seguirono mesi di cure, terapie, visite mediche e riabilitazione. Massimiliano accompagnava Vera a ogni appuntamento, sostenendola con pazienza e amore. Lui cambiò profondamente: divenne premuroso, attento e protettivo.

Le cicatrici si schiarirono, la pelle si ammorbidì e Vera divenne ancora più bella. La paura di parlare svanì lentamente, ma continuò a usare il taccuino. La loro vita si riempì di nuovi significati: i fine settimana tornavano al borgo, lavoravano nel giardino con Galina, sorseggiavano tè in veranda e progettavano il futuro. Vera appoggiata alla spalla di Massimiliano ascoltava felice.

Un giorno al parco incontrarono Pavel e Grisha, che rimasero sbalorditi.
— È davvero lei, Vera? — chiese incredulo Pavel.
— Sì — rispose Massimiliano abbracciandola — è mia moglie.
— Wow, che trasformazione! — fischiò Grisha.
— Non è una finzione — sussurrò Massimiliano — è amore.

La moglie di Pavel affidò il suo bambino a Vera; lei esitò, ma incoraggiata da Massimiliano lo prese con dolcezza. Nei suoi occhi brillava un amore profondo che fece battere forte il cuore di Massimiliano: capì che voleva condividere con lei una famiglia.

Il tempo volò e arrivò la lieta notizia: Vera era incinta. Quei nove mesi furono i più felici. Una notte, durante il travaglio, Vera – da anni senza voce – urlò: non solo per il dolore, ma come risveglio.
— Ma-ma! — esclamò, poi ripeté con gioia: aveva ritrovato la voce.

Poche ore dopo nacque il loro bambino, sano e forte. Quando Massimiliano ricevette la chiamata:
— Mass… abbiamo un figlio. Ti amo…
— scoppiò a piangere nel corridoio dell’ospedale, felice come mai prima.

Un anno dopo, in una serata tranquilla, il piccolo Artem dormiva nella sua culla. Vera, ormai libera di parlare, rideva raccontando storie. Nadezhda e Galina lavoravano ai piccoli calzini. Massimiliano uscì sulla loggia dove tutto era cominciato, osservò le luci della città e rifletté su quanto fosse imprevedibile il destino.

Aveva cercato l’amore perfetto nelle pagine dei libri, e lo aveva trovato in una ragazza silenziosa, con mani segnate dal dolore. Da vergogna a responsabilità, da obbligo a vero amore, era diventato l’uomo che doveva essere per meritare il suo “per sempre”.

Vera lo raggiunse, lo abbracciò da dietro:
— Cosa fai qui da solo?
— Pensavo — sorrise lui baciandola — a quanto sono fortunato.

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Guardò i suoi occhi pieni di luce e capì: l’amore da favola esiste davvero, ma per trovare la propria principessa bisogna diventare un principe vero. Non per vanità, ma per starle accanto, nei momenti di gioia e dolore. E lui era diventato proprio questo.

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