«Tienilo, ti prego!» La donna mi scaraventò addosso una valigia di pelle consunta e, insieme, mi spinse tra le braccia un bambino.
Per poco non mi cadeva la sporta con le provviste: stavo riportando qualche prelibatezza dalla città ai nostri vicini del villaggio. «Cosa stai facendo? Io non ti conosco…»
«Si chiama Misha. Ha tre anni e mezzo.» Mi serrò la manica con una forza che le sbiancò le nocche. «Nella valigia c’è tutto ciò che gli serve. Non lasciarlo, ti supplico.»
Il piccolo si strinse alla mia gamba: occhi grandi color nocciola, riccioli biondi in disordine, un graffio sulla guancia.
«Non puoi parlare sul serio!» cercai di fare un passo indietro, ma lei già ci trascinava verso il vagone.
«Così non si fa! La polizia, gli assistenti sociali…»
«Non c’è tempo!» La voce le vibrava di panico. «Non ho scelta, capisci? Nessuna!»
Un’ondata di villeggianti ci spinse dentro il treno sovraffollato. Mi voltai: lei era rimasta sulla banchina, le mani premute sul volto. Le lacrime le filtravano tra le dita.
«Mamma!» fece Misha allungandosi verso la porta. Lo trattenni.
Il convoglio scattò. La figura della donna si rimpicciolì, poi sparì nel crepuscolo.
Riuscimmo a trovare posto su una panchina. Il bambino si acquattò accanto a me e annusò la mia manica, come a cercare conforto. La valigia pesava, mi tirava il braccio verso il basso. Dentro che c’era, mattoni?
«Zietta, la mamma torna?»
Tornerà, piccolo. Certo che tornerà.
Gli altri passeggeri ci sbirciavano. Una giovane con un bimbo estraneo e una valigia sdrucita: non era uno spettacolo di tutti i giorni.
Per tutto il viaggio mi martellava una sola domanda: che follia è questa? Uno scherzo? E che razza di scherzo sarebbe? Il bambino era vero, caldo, profumava di shampoo e biscotti.
Pietro stava accatastando legna nel cortile. Quando mi vide arrivare con Misha, si immobilizzò con un ciocco in mano.
«Masha… ma che succede?»
«Non “da dove”, stavolta: “da chi”. Ti presento Misha.»
Raccontai tutto mentre preparavo del semolino per lui. Mio marito ascoltava corrugando la fronte e si strofinava l’attaccatura del naso—il suo modo di pensare a fondo.
«Bisogna chiamare la polizia, subito.»
«E dire cosa? Che alla stazione mi hanno consegnato un bambino come fosse un cucciolo?»
«E allora? Qual è il piano?»
Misha spazzolava la pappa con zelo, sporcandosi il mento. Era affamato, ma teneva il cucchiaio con cura. Un bambino educato.
«Abbiamo una valigia,» dissi. «Vediamo almeno cosa c’è dentro.»
Sistemammo Misha davanti alla TV con Nu, pogodi! La serratura scattò con un clic.
Trattenni il fiato. Denaro. Mazzette su mazzette, legate con fascette di banca.
«Santo cielo…» mormorò Pietro.
Presi a caso un pacchetto: cinquemila, cento, cinquecento rubli. Ce n’erano decine.
«Quindici milioni,» sussurrai. «Pietro, è una fortuna.»
Ci scambiammo uno sguardo, poi guardammo Misha che rideva al cartone.
Il tempo, intanto, ha la sua strada. Misha crebbe con noi: a quattro anni leggeva, a cinque faceva di conto. A scuola lo chiamavano prodigio. Vivemmo con prudenza, ma colmo d’affetto. Quel bambino divenne nostro figlio.
Passarono gli anni, finché arrivò una lettera. La scriveva una madre che aveva inscenato la propria morte per salvarlo da gente senza scrupoli. Il padre di Misha era un miliardario, proprietario di un fondo d’investimenti. A lui spettava un’eredità immensa.
Quando Misha lesse quelle righe, le mani gli tremarono. Poi ci strinse in un abbraccio.
«Siete stati voi a crescermi. Siete la mia famiglia. Se ci sarà qualcosa, lo divideremo in tre. E basta.»
E così fu. Tra avvocati, parenti spuntati dal nulla e giornalisti, la nostra vita cambiò. Ci trasferimmo in città, costruimmo una casa nuova; Pietro aprì una piccola fabbrica di mobili, io mi occupai del giardino, e Misha diventò un giovane talento della finanza.
Un giorno disse: «Vorrei creare un fondo per gli orfani. Che abbiano una chance di trovare una famiglia.»
«Lo chiameremo Piattaforma della Speranza,» proposi.
Da un gesto disperato su un binario nacque la nostra famiglia. Non per legame di sangue, ma per scelta. E quel bambino diventò il figlio più amato del mondo.