Capitolo 1 — Appena seppe che i genitori stavano per fargli visita, il giovane facoltoso implorò una senzatetto di fingersi la sua fidanzata, solo per quella sera.

Quando varcò la soglia del ristorante, la madre di Nathan restò senza fiato.

«Sei impazzita del tutto?» sibilò Marta, quasi urlando, come se qualcuno l’avesse colta in un inganno. «Io, fingere di essere la tua fidanzata? Fino a ieri rovistavo tra i bidoni per trovare da mangiare!»

Advertisements

Nathan chiuse la porta alle sue spalle, fece scattare la serratura e si appoggiò al muro con aria stanca.
«Non hai motivo di rifiutare. Ti pagherò più di quanto tu possa immaginare. Solo per una sera. Per i miei genitori. È solo teatro, niente di più. O hai dimenticato come si recita?»

Marta tacque. Le mani, nascoste nei guanti sdruciti, tremavano. Il cuore batteva furioso, come se volesse uscire dal petto. E se questa fosse l’occasione per ricominciare?

Così ebbe inizio una storia che nessuno avrebbe potuto prevedere.

Nathan Berg era l’uomo che tutti conoscevano: giovane, glaciale, il volto stampato sulle riviste economiche, inserito nelle classifiche dei più influenti scapoli al mondo. Denaro, potere, prestigio: sembrava avere tutto. Eppure i suoi genitori continuavano a domandargli: «Quando conosceremo finalmente la tua compagna?»

Avevano deciso di sorprenderlo. Arrivavano l’indomani.

Non era paura quella che provava Nathan, ma confusione: nessuna donna gli era mai sembrata degna del ruolo. Non voleva attrici dai sorrisi finti. Gli serviva qualcuno di vero.

La trovò per caso, una sera, davanti all’ingresso della metro. Una chitarra in mano e un cartone ai piedi: “Non chiedo carità. Chiedo un’opportunità.”

«Come ti chiami?» le domandò.

«E a te cosa importa?» ribatté lei, sollevando lo sguardo fiero.

«Perché sembri viva. Senza maschere. Proprio quello che mi serve.»

Marta aveva ventisette anni. Orfanotrofio, fughe, anni per strada, riabilitazioni, notti al freddo: la sua vita stava tutta dentro quella chitarra.

Il giorno dopo, davanti allo specchio della suite dell’Hotel Emerald, faticava a riconoscersi. Un abito di velluto blu profondo, capelli lucenti, un trucco impeccabile. Sembrava un’altra.

«Siamo in ritardo per la nostra felicità» disse Nathan aggiustando i gemelli.

«Pensi che funzionerà?»

«Credo che tu sia l’unica che possa conquistare mia madre.»

La cena iniziò in un silenzio teso. Il padre, misurato e freddo; la madre, elegante e implacabile, capace di leggere le persone con un solo sguardo.

«Come vi siete conosciuti?» chiese la donna, fissando Marta.

«In libreria» rispose lei, deglutendo. «Ho fatto cadere un volume di Schopenhauer. Lui lo ha raccolto e… abbiamo riso.»

«Schopenhauer?» le sopracciglia della madre si sollevarono. «Leggi filosofia?»

«Da bambina. In orfanotrofio la bibliotecaria ci lasciava prendere libri difficili, se promettevamo di restituirli.»

Un silenzio cadde pesante. Poi Marta respirò a fondo.
«Basta. Sto mentendo. Non ci siamo incontrati in libreria, ma per strada. Sono una senzatetto. Per anni sono stata solo “qualcosa” e mai “qualcuno”. Oggi, per la prima volta, mi sento viva.»

Invece del disprezzo, ricevette un abbraccio. La madre di Nathan le sussurrò:
«Anch’io un tempo non avevo nulla. Qualcuno mi ha offerto un’opportunità. E sono felice che tu stia cogliendo la tua.»

Nathan rimase in silenzio, ma dentro di sé capì: il gioco era finito. Quella era vita vera.

La loro convivenza iniziò quasi per caso, ma divenne presto reale. Marta studiava, leggeva, cucinava, e ogni tanto riprendeva la chitarra. Nathan lavorava fino a notte fonda, ma la osservava cambiare.

«Sei diversa» le disse un giorno.

«È che per la prima volta non temo di essere cacciata.»

Poi arrivò la rottura con il padre, la gravidanza inattesa, i pettegolezzi sul “miliardario e la senzatetto”. Ma Marta resistette. E quando nacque la loro bambina, seppe che non avrebbe mai più chiesto elemosina: aveva finalmente scritto da sola la sua storia.

Sul palco, anni dopo, poteva dire con fierezza:
«Un tempo ero una “fidanzata per un’ora”. Oggi sono moglie e madre per la vita. Perché qualcuno mi ha visto come un essere umano.»

La scena finale tornò al ristorante. Marta, Nathan e la loro figlia.
«Qui è iniziato tutto» le disse la madre alla piccola. «Qui siamo diventati una famiglia.»

Advertisements

Nathan sorrise, stringendo la mano della donna che non era mai stata una principessa… ma la sua regina.

Leave a Comment