José Márquez rimase immobile sul pianerottolo, con ancora addosso la polvere del viaggio e il caldo appiccicoso di ottobre che entrava dalle finestre della villa di Polanco. Due settimane via per lavoro. Due settimane in cui aveva pensato di “fare il necessario” per l’impero immobiliare che portava il suo nome. Eppure, in quel momento, capì che il prezzo vero lo stava pagando altrove: nella stanza di sua figlia.
Salì i gradini di marmo senza fretta, come se un passo più veloce potesse peggiorare ciò che già sentiva. Da dietro una porta socchiusa arrivavano voci tese, taglienti.
Una la riconobbe subito: Susana, la sua seconda moglie, sposata da tre anni. L’altra era nuova, ma aveva un tono che non urlava mai, anche quando rispondeva.
«Deve uscire da questa stanza e imparare a cavarsela!» stava sbottando Susana. «Ha dodici anni e la trattate come una neonata!»
«Signora, la prego… abbassi la voce.» La voce sconosciuta aveva un accento rurale, morbido, eppure fermo. «Julia è spaventata. Ha bisogno di tempo, non di grida.»
José trattenne il respiro e si avvicinò ancora. Attraverso la fessura vide la scena come un quadro che non avrebbe voluto guardare: Susana dritta, nervosa, col dito puntato. Sul letto, Julia raggomitolata con un peluche stretto al petto, le spalle che tremavano. E tra loro due… una donna in divisa blu da addetta alle pulizie, i capelli castani legati in una coda, il corpo messo di traverso come fosse uno scudo.
«Tu sei solo la donna delle pulizie.» Susana sputò le parole come un’offesa. «Non ti permettere di dire come devo educare una bambina in questa casa.»
La donna inspirò lentamente, come chi si impone di restare lucida. «Mi chiamo Teresa Montes. E quando mi prendo cura di una casa, mi prendo cura di chi ci vive dentro. Julia è intelligente, dolce… e quello che le serve è amore. Non paura.»
Susana fece un passo avanti, minaccioso. «Sei licenziata. Oggi stesso. Sparisci.»
Julia emise un singhiozzo piccolo, quasi vergognoso. Teresa non esitò: si inginocchiò accanto al letto e cercò la mano della bambina, trovandola con delicatezza, come si fa con qualcosa di prezioso.
«Va tutto bene, piccola. Io sono qui.» Le parlò piano, vicino all’orecchio, senza invaderla. Julia, ancora tremante, si aggrappò a quella mano come a un salvagente.
A José si strinse lo stomaco. Non era solo la scena. Era la vergogna che gli montava dentro: una sconosciuta stava dando a sua figlia la sicurezza che lui, il padre, aveva lasciato diventare un lusso.
Bussò. Un colpetto leggero, quasi educato. Poi spinse la porta.
«Che cosa succede qui?»
Susana si voltò di scatto, come se l’avessero sorpresa a rubare. Si sistemò i capelli e cambiò tono, più dolce e teatrale. «José! Che coincidenza… Stavo solo cercando di insegnare a Julia a essere più autonoma. Ma questa dipendente è fuori luogo, si permette di contraddirmi.»
Teresa si alzò, lenta, senza agitazione. Aveva gli occhi scuri e sinceri, e uno sguardo che non chiedeva scusa per il bene fatto. «Signor Márquez, mi dispiace per il disturbo. Ho solo cercato di evitare che Julia ascoltasse parole troppo dure.»
José guardò Julia: il volto bagnato, le dita che stringevano il peluche e la mano di Teresa insieme. Poi guardò Susana: quella smorfia di fastidio che non riusciva a mascherare del tutto. E infine tornò su Teresa, che restava composta nonostante l’umiliazione appena ricevuta.
«Teresa… giusto?» domandò con voce bassa.
Lei annuì. «Sì, signore.»
«Da quanto tempo lavori qui?»
«Da sei mesi.»
Sei mesi. Durante i suoi viaggi, tra un contratto e un meeting, in casa sua era cresciuto un legame di cui lui ignorava perfino il nome completo.
«Papà…» Julia cercò il suono della sua voce nel vuoto. «Teresa mi aiuta sempre quando tu non ci sei. Mi legge le storie. Mi insegna a fare le cose da sola senza farmi paura.»
Il nodo alla gola di José si fece duro. Quando era stata l’ultima volta che lui le aveva letto una storia? Quando si era seduto sul bordo di quel letto senza guardare l’orologio?
Si voltò verso Susana, e la sua calma cambiò peso. «Vieni in salotto. Adesso.»
Susana aprì bocca per protestare, ma il suo sguardo incontrò quello di José e capì che quella volta non era una discussione da vincere con il tono.
Prima di uscire, José guardò Teresa. «Per favore… resta con Julia. Torno tra poco.»
Teresa fece un cenno e, non appena la porta si richiuse, José udì la sua voce tornare morbida, quasi luminosa: «Ti va se ti racconto degli uccellini che ho visto in giardino stamattina?»
Julia rispose con un entusiasmo fragile ma vero. José si fermò un secondo nel corridoio, col cuore pieno di domande che non aveva mai avuto il coraggio di farsi.
Chi era davvero Teresa Montes? E perché era l’unica, in quella casa enorme, a far sentire sua figlia al sicuro?
Il giorno dopo, José fece qualcosa che non faceva da mesi: restò. Lavorò da casa, nello studio affacciato sul giardino, deciso a vedere con i propri occhi ciò che aveva delegato per troppo tempo.
Dalla finestra osservò Teresa sul balcone del secondo piano. Non “faceva la babysitter”. Non “la compatìva”. Le insegnava, con pazienza.
«Tocca questa foglia, Julia… senti com’è vellutata?» Teresa guidava la mano della bambina con precisione, lasciandole il tempo di capire. «E ora annusa. Questo profumo lo riconosci? È basilico.»
Julia rise, orgogliosa. «Come quello della nonna Carmen… al mare.»
A José si gelò il sangue per un istante. Carmen era la madre di Lucía, la sua prima moglie, morta quando Julia aveva due anni. Come faceva Teresa a conoscere quel dettaglio?
A pranzo, José continuò a osservare. Teresa tagliava il cibo senza farlo pesare, descriveva i piatti perché Julia potesse “vederli” con gli altri sensi, e parlava con lei come con una persona completa, non fragile.
Alla fine, José intervenne con una calma che tradiva l’urgenza. «Teresa… posso chiederti una cosa? Come hai imparato a prenderti cura così bene di una bambina non vedente?»
Gli occhi di Teresa scesero per un momento, come se raccogliesse un ricordo prima di offrirlo. «Mia sorella minore è nata cieca, signor Márquez.»