Il calore del caffè filtrava attraverso il cartone sottile e mi pungeva i polpastrelli. Un fastidio da nulla, se confrontato con il tremito che mi scuoteva dentro.
— Masha, ho deciso. Domani presento i documenti per aprire la mia attività — dissi, sporgendomi oltre il tavolino. — Voglio aiutare le piccole imprese a mettere ordine nelle loro finanze.
Masha tossì, quasi soffocando nel cappuccino, poi rise con una punta di cattiveria.
— Sul serio, Lera? — si tamponò le labbra con un tovagliolo. — Ancora i tuoi castelli in aria… come quando facevi finta di gestire un negozio con le bambole?
— Non sono sogni — risposi, cercando di tenere la voce ferma. — Ho preparato un piano dettagliato…
— E chi dovrebbe fidarsi di te? — mi tagliò, abbandonandosi allo schienale. — A stento arrivi a fine mese. Che consulenze daresti?
Sentii il calore salirmi alle guance.
— Ho studiato, ho seguito corsi seri…
— Corsi! — alzò gli occhi al cielo. — Lera, sii realista. Sei un’impiegata di banca, e neppure ai vertici. In che mondo saresti un’esperta?
— Proprio in banca ho imparato a riconoscere gli errori degli imprenditori — ribattei, più piano ma più sicura.
— Certo. Hai paura persino di chiedere un finanziamento per un’auto, e vorresti insegnare agli altri a gestire il denaro?
Qualcosa dentro di me si incrinò. Aveva ragione: i prestiti mi spaventavano. Ma forse questa prudenza era la mia forza.
— Sai che c’è? — spostai piano il bicchiere. — Non ho bisogno della tua approvazione. Lo farò da sola. E un giorno guiderò persino una banca.
— Oh, come no! — rise di nuovo. — Te lo dico per il tuo bene: lascia perdere le fantasie.
Ci salutammo freddamente. Da quel giorno non ci sentimmo più.
⁂ ⁂ ⁂
Gli anni passarono. Aprii il mio studio di consulenza. Fu dura, ma arrivarono i primi clienti, poi il passaparola, i primi risultati.
Dopo tre anni avevo già un team di cinque persone. Dopo cinque, gli imprenditori della città conoscevano il nostro nome.
Dieci anni dopo, mi proposero di dirigere la stessa banca in cui ero stata una semplice impiegata.
Accettai. Vendetti la società e iniziai un nuovo capitolo.
Una mattina d’autunno, mentre scorrevo delle pratiche, la segretaria entrò con una cartella.
— Valeria Andreevna, c’è una richiesta corposa da “MariArt”. Hanno una storia creditizia complicata, ma chiedono un incontro con la direzione.
Aprii la pratica e rimasi un istante immobile: Maria Baranova, direttrice generale. Masha.
Lessi in fretta: agenzia di eventi, attiva da tre anni, due rifiuti, ritardi nei pagamenti.
— Quando l’appuntamento?
— Tra un’ora.
— Bene. La riceverò io.
Puntuale, la porta si aprì. Masha era quasi uguale a come la ricordavo, solo un paio di rughe in più.
Entrò sicura, cartella alla mano; si bloccò appena mi vide.
— Lera?!
— Ciao, Masha — indicai la poltrona. — È passato un po’.
— Sei tu la direttrice? — si sedette, lisciandosi i capelli.
— Sì. Ho già esaminato la tua richiesta.
— E…? — nella sua voce c’era una speranza sottile. — Questo prestito per noi è vitale, Valeria Andreevna. Il settore è stagionale…
Sfogliai le pagine.
— Purtroppo, con la vostra storia di ritardi e gli indicatori attuali, non possiamo approvare.
— Ma noi… — esitò. — Lera, potresti fare un’eccezione? Ci conosciamo…
Alzai lo sguardo.
— Ricordi quando ridevi di me perché “giocavo all’imprenditrice”? Questo “gioco” ha regole. E valgono per tutti, anche per le vecchie amiche.
La vidi sbiancare.
— Sembra che la vostra partita stia finendo — dissi con calma, firmando l’ultimo foglio.
Rimase in silenzio, battendo le palpebre.
— Se vuoi, però, posso consigliarti un’ottima consulenza per rimettere a posto i conti e ripresentare la domanda.
— No, grazie — si alzò di scatto. — Scusa il disturbo.
— Arrivederci — le restituii la cartella. — Ricorda: non è mai troppo tardi per ricominciare.
Quando la porta si richiuse, mi voltai verso la finestra. Le sue parole di dieci anni prima, allora taglienti, oggi erano soltanto il carburante del mio cammino.