«Mia suocera mi derise perché avevo preparato da sola la torta nuziale. E come se non bastasse, durante il suo discorso se ne prese pure il merito.»

Il mio futuro marito, Dave, ed io avevamo organizzato tutto da soli per il nostro matrimonio, rifiutando i soldi dei suoi genitori benestanti. Quando dissi che avrei preparato io stessa la torta nuziale, mia suocera rise alle mie spalle. Ma il giorno delle nozze, davanti a tutti, si prese il merito di quel dolce. Mi rubò la scena… ma il karma stava già preparando la sua rivincita.

Mia suocera, Christine, non aveva mai lavorato un solo giorno in vita sua, e si vedeva in tanti piccoli atteggiamenti che mi irritavano. La incontrai per la prima volta tre anni fa: mi squadrò come se fossi un pessimo investimento.

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— «Allora, lavori… nel servizio clienti?» disse, con la stessa voce con cui si parla di pulire i bagni.

— «Sono coordinatrice marketing», la corressi con calma.

— «Che carino. Immagino che qualcuno debba pur farlo.»

Dave mi strinse la mano, come a scusarsi per il comportamento della madre. Quella sera, abbracciandomi, mi sussurrò: «Adoro il fatto che lavori sodo e che tu sappia dare valore alle cose che contano». In quel preciso istante capii che un giorno lo avrei sposato.

Tre mesi prima delle nozze, l’azienda di Dave fece dei tagli e lui perse il lavoro. Eravamo già al limite con le spese, determinati a non cominciare il nostro matrimonio pieni di debiti.

— «Potremmo chiedere ai miei genitori», propose Dave.

— «Sul serio?! Vuoi proprio rinfocolare i guai?»

— «Oh no, credimi. Mia madre ce lo rinfaccerebbe per i prossimi dieci anni.»

Alla fine decidemmo di ridurre ancora di più le spese. Sarebbe stato tutto a modo nostro: niente debiti, niente sensi di colpa, niente catene.

Quella notte mi venne un’idea: «Preparerò io la torta nuziale».

Dave sgranò gli occhi. «Sei sicura? È tanta pressione.»

— «Faccio dolci da quando avevo dieci anni! Ti ricordi i biscotti che vendevo all’università? Li adoravano tutti.»

Sorrise. «Li adoravano eccome. E io adoro te per questo.»

Era deciso: avrei fatto io la torta.

La domenica successiva cenammo dai suoi. La villa di suo padre Jim era immensa, lui era cordiale ma distante, tutto immerso negli affari. Christine, invece, era impossibile da ignorare.

Quando annunciai che avrei fatto io la torta, lei rise: «Oh, tesoro! Non puoi essere seria».

— «Lo sono», replicai, dritta sulle spalle. «Sto provando ricette da settimane.»

Lei scosse la testa: «Una torta fatta in casa per un matrimonio? Sembrerà un picnic di campagna».

— «Mamma, Alice è bravissima», intervenne Dave.

— «Beh», commentò lei asciugandosi le labbra, «quando si viene da famiglie modeste, è difficile perdere certe abitudini».

Dave fu irremovibile: «Faremo tutto senza indebitarci».

Christine insistette: «Almeno lasciami chiamare Jacques, il miglior pasticcere della città. Consideralo un regalo».

— «Non prenderemo soldi da te, mamma. Né per il dolce, né per altro.»

Usciti da lì, Dave mi prese la mano. «Farai la torta più bella e buona che si sia mai vista.»

Nelle settimane successive mi allenai senza sosta. Impilai strati, sperimentai glasse, costrinsi gli amici a fare da giudici. La vigilia del matrimonio assemblai finalmente la mia creazione: tre piani perfetti, pan di Spagna alla vaniglia, ripieno di lamponi, crema al burro meringata e una cascata di fiori di zucchero.

Quando la responsabile della sala lo vide, spalancò gli occhi: «Sembra uscito da una pasticceria di lusso in centro!»

Il cuore mi traboccava d’orgoglio.

Il giorno delle nozze, il cielo era terso e blu. La cerimonia fu intima e piena di emozione. Non contavano i fiori costosi o gli addobbi: contavamo solo noi due e le nostre promesse.

Al momento del dolce, trattenni il respiro. Gli invitati mormoravano stupiti:

— «Avete visto quella torta?»
— «Magnifica!»
— «Chi l’ha fatta?»

La cugina di Dave mi chiese: «In quale pasticceria l’hai ordinata?»

Dave rispose fiero: «L’ha fatta Alice, da sola».

Lei rimase senza parole. I complimenti si susseguirono: la zia di Dave disse che era la torta più buona che avesse mai mangiato, l’amico d’infanzia si servì tre fette, persino il fotografo volle immortalarla.

Ero al settimo cielo… finché Christine non afferrò il microfono.

— «Vorrei ringraziare tutti… sì, il dolce l’ho fatto io!» annunciò ridendo. «Non potevo lasciare mio figlio con un dessert mediocre nel suo giorno speciale.»

Sentii la mia forchetta diventare di piombo. Il sapore della torta mi si trasformò in cenere in bocca. Dave mi prese la mano: «Lasciala. Il tempo rimetterà a posto le cose».

Il resto della serata lo vissi in un torpore, cercando di sorridere. Solo la presenza di Dave mi teneva in equilibrio. Quella notte, in albergo, scoppiai in lacrime: «Non posso credere che l’abbia fatto».

Dave mi accarezzò: «È sempre stata ossessionata dalle apparenze. Ma il tempo le presenterà il conto».

Aveva ragione. Il giorno dopo mi chiamò. Voleva la mia ricetta: una benefattrice, colpita dal “suo” dolce, le aveva commissionato un’altra torta per un gala.

La lasciai nel suo imbarazzo, ridendo tra me e me. «Avvisami quando avrai le ordinazioni pronte», le risposi.

Alla fine, fu costretta ad ammettere la verità. E da lì, le richieste arrivarono direttamente a me. In breve, quella che era stata solo una torta di nozze diventò l’inizio della mia piccola attività.

Quando arrivò il Ringraziamento, cenammo di nuovo dai suoi. Christine, con un’aria insolita, mi porse una torta comprata al supermercato: «Questa volta non ho mentito».

Forse non era una vera scusa, ma era un inizio.

Più tardi, Jim mi confidò: «In quarant’anni non l’ho mai vista ammettere di aver sbagliato. Sei una ventata d’aria fresca per questa famiglia».

E mentre tornavamo a casa, Dave mi prese la mano: «Mia cugina Sam si sposa. Vuole che tu faccia la sua torta di nozze».

Sorrisi. «Sarebbe un onore».

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Non avevo bisogno dell’approvazione di Christine. Avevo Dave, la mia passione, le mie mani capaci di creare. E una certezza: la verità viene sempre a galla, proprio come una torta che lievita alla perfezione.

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