Quando quella sera Vanessa rientrò, trovò Isabella seduto sul portico.
Alzò lo sguardo: gli occhi erano arrossati, non per la rabbia, ma per la vergogna.
— Avevi orchestrato tutto… — mormorò.
Lei annuì lentamente.
— Ho avuto tempo per pensarci.
— Non sei furiosa?
Vanessa piegò appena la testa.
— Lo ero. Ma ho capito che la rabbia non mi avrebbe restituito gli anni perduti. La pace, invece, forse sì.
Restarono in silenzio, con l’aria densa di parole non dette.
Poi Isabella sospirò:
— Sei stata tu a pagare la cena?
— Sì — rispose lei con un mezzo sorriso — di nulla.
Sei mesi dopo
Sotto le lucine calde del centro culturale, Vanessa porgeva calici di vino con un sorriso sereno. Si era iscritta a un club del libro, aveva ripreso in mano i pennelli e, con sua sorpresa, aveva iniziato a frequentare qualcuno di nuovo.
Non perché le servisse un uomo.
Ma perché aveva ritrovato sé stessa.
Isabella, nel frattempo, viveva in un piccolo appartamento dall’altra parte della città. Si vedevano ogni tanto per un caffè, quando la loro figlia andava a trovarla.
La firma sui documenti era arrivata senza drammi.
La nuova vita di Vanessa non era perfetta.
Ma era sua.
La lezione?
A volte la vera vendetta non è esplodere di rabbia, ma elevarsi.
Ritornare a se stessi.
E capire che non hai mai preteso troppo: hai solo preteso dalla persona sbagliata.
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