Valentina era seduta in cucina a fissare una tazza di tè ormai fredda. Fuori cadeva una pioggerellina sottile: le gocce scivolavano sul vetro come piccole lacrime ostinate. In momenti così, il cambiamento dell’ultimo anno le appariva con una chiarezza quasi dolorosa. Non molto tempo prima tutto sembrava lineare: lavorava in una piccola azienda dove la stimavano per precisione e affidabilità, ogni mese metteva da parte qualcosa, immaginando una casa tutta sua. Non una villa da rivista, solo un posto da sentire proprio: violette sul davanzale e l’odore del pane appena sfornato in cucina. Invece vivevano in un appartamento in comproprietà comprato dalla suocera ai tempi della sua giovinezza, ben prima del matrimonio.
— Vale, sei di nuovo persa nei tuoi pensieri? — la voce di Anton la riportò indietro.
— No, solo un po’ di stanchezza — rispose, accennando un sorriso. — Com’è andata oggi?
Anton si sedette accanto a lei e allungò la mano verso il bollitore.
— Tutto ok. Ha chiamato mamma: vuole che passiamo da lei nel weekend. Dice che deve parlarci.
A Valentina si strinse lo stomaco. Di recente ogni conversazione con Tatyana Sergeevna finiva per girare intorno ai soldi. All’inizio erano solo frecciatine gentili, buttate lì.
«Guarda la figlia dei Petrov,» diceva a cena, «con il genero hanno comprato i mobili nuovi del salotto. Uno splendore!»
Valentina annuiva senza farci caso, ma le allusioni erano diventate via via più scoperte, soprattutto da quando Anton aveva iniziato a dare qualche contributo per le riparazioni della dacia.
«Vale, è vero che hai dei risparmi?» le chiese un giorno la suocera, mescolando il tè. «Anton dice che sei molto oculata.»
Valentina fece finta di non sentire. Tatyana, però, tornava spesso sul tema dei “beni di famiglia” e di quanto fosse bello quando la nuora partecipava alle spese comuni.
— Mamma — le aveva detto Anton una volta —, per la dacia adesso non possiamo. Abbiamo altri progetti.
Tatyana aveva stretto le labbra in un sorriso rigido.
— Quali progetti? Cosa può essere più importante della famiglia? La dacia è per tutti: d’estate vi riposerete lì…
Ripensarci faceva sospirare Valentina. Il cottage era davvero malandato, ma il piano della suocera non era una semplice sistemata: sognava una ristrutturazione completa, veranda in PVC, nuova sauna, gazebo per il barbecue.
— Vale, a cosa pensi? — Anton le sfiorò la mano. — Ti mette ansia l’invito?
— Un po’ — ammise. — Sai bene come andrà a finire.
Anton sospirò.
— Mamma sogna solo una bella dacia. Che male c’è?
— Non sono i sogni, Anton — rispose Valentina, scegliendo le parole. — È che considera i miei risparmi di tutti. Io… ho risparmiato per la nostra casa.
— Lo so. Magari troviamo un compromesso: una piccola quota…
— Con tua madre non esistono piccole quote — scosse la testa Valentina. — Inizia con poco e poi aumenta, finché non resta più nulla.
Il giorno dopo, a cena da Tatyana Sergeevna, l’aria era tesa. La suocera trafficava coi suoi famosi fagottini per Anton, lanciando a Valentina occhiate misurate.
— Cara Valentina — cominciò appena si sedettero —, stavo pensando: sei una ragazza coscienziosa, capirai quanto è importante investire nei beni di famiglia.
Valentina sentì irrigidirsi le spalle.
— Certo, Tatyana Sergeevna. Io e Anton stavamo proprio pensando…
— Benissimo! — la interruppe la suocera. — Ho preparato un preventivo. Per il primo step servono solo trecentomila rubli. Tu hai dei risparmi, vero?
Calò il silenzio. Valentina guardò Anton, che fissava il disegno della tovaglia.
— I miei risparmi — disse piano Valentina — sono destinati ad altro.
— Ad altro cosa? — nella voce della suocera entrò il metallo. — Cosa può essere più importante della famiglia? Siamo una cosa sola.
— Anton ha già aiutato come poteva. Ora tocca a te, Valentina. È per tutti, anche per i vostri futuri figli.
Valentina inspirò a fondo.
— Capisco il desiderio di ristrutturare, ma i miei risparmi…
— I “tuoi” risparmi? — la tagliò Tatyana. — Lì fermi a marcire? Qui c’è un progetto reale, comune! Possibile che non capisca i valori della famiglia?
Valentina cercò gli occhi di Anton; lui si agitava, guardando a terra.
— Vale — mormorò —, mamma ci ha sempre dato una mano. Perché non contribuiamo anche noi?
— Esatto! — esclamò Tatyana. — Vi ho sostenuto, vi ho dato quella stanza… E tu pensi solo a te stessa!
— Non penso solo a me — ribatté Valentina, la voce bassa ma ferma. — Io e Anton vorremmo un acconto per il mutuo, una casa nostra.
— Un mutuo! — sbuffò la suocera. — Volete una zavorra al collo? Qui vivete comodi. La dacia è un investimento per tutti!
Dentro Valentina la rabbia salì come un’onda. Anni a mettere via ogni moneta per un piccolo angolo tutto suo, e adesso doveva bruciare tutto per il sogno di un’altra persona.
— Insomma — concluse Tatyana alzandosi, sporgendosi oltre il tavolo —: o tiri fuori i soldi adesso oppure… — fece una pausa carica di minaccia — non stupirti se parenti e vicini sapranno che sei una nuora avara. Io parlo.
Il volto di Valentina si accese. Quello non era più un accenno: era ricatto.
— Mamma, forse non è il caso… — provò Anton.
— Non è il caso di cosa? — scattò Tatyana. — La difendi? Lei volta le spalle alla famiglia e tu zitto?
— I miei risparmi non li do — disse Valentina, decisa. — E non avete nemmeno parlato di restituirli. Questo non è aiuto, è pretesa.
— Ah, vuoi fare la dura? — la suocera arrossì. — Anton, hai sentito come mi parla?
Anton guardava l’una e l’altra, impotente. Vederlo così spezzava il cuore a Valentina, ma non bastava a farla recedere.
— Basta — tagliò corto Tatyana, avviandosi alla porta. — Ho capito. Quali valori? Nessun rispetto.
La porta si richiuse con uno schiocco secco. Nel silenzio, Valentina scivolò sulla sedia; sentì le lacrime scendere senza rumore.
— Anton, non lo vedi? — la voce le tremava. — Tua madre vuole i miei risparmi e tu non dici nulla.
— Mamma vuole il bene di tutti — si passò la mano sul volto, stanco. — La dacia sarà utile…
Valentina scattò in piedi.
— Utile a chi? Noi viviamo in una stanza e sogniamo casa nostra, e tu parli di dacia? Quei soldi li ho messi da parte per i miei sogni, non per i capricci di tua madre.
— Vale, non esagerare… — provò ad abbracciarla; lei si ritrasse.
— No. Io così non ci vivo più.
Entrò in camera, tirò fuori una valigia. Le mani le tremavano, ma la decisione si faceva solida: era il momento di andare. Non poteva restare dove i confini venivano calpestati e i sogni non contavano.
— Che stai facendo? — chiese Anton, smarrito.
— Quello che avrei dovuto fare prima — disse, infilando i documenti in una cartellina. — Me ne vado.
— Per quello che ha detto mamma? Sta esagerando…
Valentina lo guardò dritto negli occhi.
— Non per quello che ha detto. Perché non intendo finanziare progetti imposti. E, soprattutto, perché non posso stare con chi non mi difende.
— Vale, aspetta — Anton le afferrò la mano. — Parliamone.
— Di cosa? Di come tua madre continuerà a pretendere? Di come tu continuerai a tacere? — Chiuse la valigia. — Io vado.
Il telefono squillò. Anton rispose: Tatyana Sergeevna.
— Sì, mamma… No, non ha ceduto… Sì, se ne sta andando… — Ogni parola cadeva pesa, mentre Valentina udiva il furore dall’altro lato: «Colpa sua! Non vuole essere parte della famiglia! Che se ne vada!»
Valentina prese la valigia e si diresse alla porta.
— Vale, dove andrai? — chiese Anton.
Lei non si voltò. Il cuore batteva forte, gli occhi bruciavano; a ogni passo però si sentiva più leggera, come se un peso le scivolasse dalle spalle.
Una settimana dopo, Valentina sedeva nel suo piccolo appartamento in affitto. Sullo schermo cinque chiamate perse di Anton: la cercava ogni giorno, chiedendo un confronto.
— Parliamo, ti prego — insisteva.
— No, Anton — rispondeva lei, ferma. — Finché tua madre crede di poter decidere dei soldi altrui e tu la assecondi, non abbiamo nulla da dirci.
— E noi?
— Una famiglia esiste dove ci si rispetta. Dove i sogni degli altri non si schiacciano.
Spense il telefono e si avvicinò alla finestra. La città brulicava di possibilità. Per la prima volta dopo tanto si sentiva davvero libera: niente pressioni, niente pretese, nessuno a contarle l’ultimo centesimo.
Suonarono alla porta: l’agente immobiliare con cui aveva fissato l’appuntamento per vedere alcuni appartamenti. La ricerca della sua casa poteva finalmente cominciare.
Tatyana Sergeevna i soldi non li vide mai. Il vecchio cottage continuò a sfaldarsi, e la veranda da sogno rimase un disegno sul foglio. Anton trascorreva sempre più tempo chiuso nella sua stanza, lo sguardo fisso sulla foto del matrimonio: restare all’ombra di sua madre o trovare il coraggio di cambiare e provare a riconquistare sua moglie?
E Valentina? Capì che a volte andarsene non è una resa, ma una vittoria: contro la paura, contro l’ansia di compiacere, contro l’insicurezza. Il primo passo per vivere secondo il proprio cuore.