“«Signora Marina Viktorovna, abbiamo ultimato le formalità: può passare a ritirare i documenti. Ha già avvisato qualcuno di venire a prenderla dal reparto maternità?» chiese l’addetta che seguiva le puerpere, con un’ombra di apprensione nello sguardo. Era passata un’intera settimana in ostetricia e per Marina non si era visto nessuno: appariva terribilmente sola. Lei, però, assicurò che i parenti erano pronti a occuparsene in qualsiasi momento, anche se, in fondo, continuava a sperare che davvero qualcuno si presentasse.
«Non si preoccupi, possono arrivare più tardi. Non c’è fretta», rispose, mascherando la paura di dover rientrare da sola dopo il parto.
Il personale, colpito dalla sua dignità, poté soltanto augurarle ogni bene. Il travaglio era stato estenuante e, nonostante avesse messo al mondo due bambini senza alcun sostegno, nessuno dei suoi cari si era interessato a lei. Il marito le aveva fatto sapere che non sarebbe passato: troppo lavoro, diceva. Così Marina si ritrovava a immaginare il ritorno a casa con due neonati fra le braccia e il portafogli vuoto.
Quando arrivò il momento della dimissione, raccolse i piccoli e la borsa con i vestiti. Le infermiere, commosse, la scortarono fino all’uscita. Marina le ringraziò con le lacrime agli occhi, consapevole che a suo marito importava ben poco della sua salute e della nascita dei figli. Non cercava pietà, ma ormai aveva compreso con chiarezza: in quel momento difficile, su di lui non poteva contare.”