— Cosa credi di fare? Posalo subito! — gridò Tat’jana fermandosi sulla soglia, indignata da ciò che aveva davanti.
Ol’ga, la futura cognata, alzò gli occhi con aria innocente:
— Volevo solo dare un’occhiata alle tue app… Che male c’è?
Tat’jana, ancora avvolta nell’accappatoio blu e con i capelli bagnati che le scivolavano sulle spalle, si accorse che Ol’ga era comodamente seduta sul divano a curiosare nel suo telefono. Le si avvicinò di scatto e glielo strappò dalle mani.
— Non si rovista nella vita degli altri senza permesso, — disse fredda. — È questione di rispetto. Soprattutto quando si tratta del telefono.
Ol’ga sbuffò come se fosse stata ingiustamente accusata:
— Ma se non hai nulla da nascondere, perché ti agiti? O forse c’è qualcosa che mio fratello non deve sapere?
L’aria si fece tesa. Da sempre il rapporto con la sorella minore di Denis era complicato.
Tat’jana provò a spiegare:
— Anche senza segreti, ognuno ha diritto alla propria privacy. Ti piacerebbe se prendessi il tuo telefono e mi mettessi a leggere chat, foto e note?
In quel momento comparve Julija, la sorella maggiore.
— Che succede qui?
Ol’ga non perse tempo:
— Ho solo dato un’occhiata al suo telefono e lei ha reagito come se nascondesse qualcosa.
Tat’jana serrò le labbra. Le sorelle si scambiarono un’occhiata di complicità.
— Io non avrei nulla da temere, — disse con tono orgoglioso Julija.
— E nemmeno io, — rincarò Ol’ga. — Forse è lei ad avere dei segreti.
Tat’jana lasciò perdere e si chiuse in camera. «Incredibile,» mormorò tra sé.
Poco dopo, il telefono vibrò: era Denis.
— Ciao, amore. Le mie sorelle dicono che hai fatto una scenata. È vero?
Tat’jana sospirò:
— Nessuno scandalo. Ho solo detto che non si fruga nei telefoni altrui.
— Ma se non hai nulla da nascondere, cosa importa? — rispose lui con la stessa leggerezza delle sorelle.
Tat’jana chiuse gli occhi:
— Non si tratta di segreti. È questione di rispetto. Tutti hanno diritto al proprio spazio.
— Segreti, allora? — Denis cambiò tono, freddo.
La discussione degenerò: lui, istigato dalle sorelle e dalla madre, finì per accusarla di tradimento. Le risate dietro le porte rendevano la situazione insostenibile. Alla fine Tat’jana lo mise alla prova: gli fece chiamare il numero sospetto. Rispose Vera, sua sorella.
Il gelo calò nella stanza.
— Vedi? — disse Tat’jana. — E io sarei quella che inganna?
Quando anche la suocera e le sorelle tentarono di attaccarla, Tat’jana esplose. Li cacciò tutti, Denis compreso.
— Non voglio più vivere in una gabbia, — dichiarò con fermezza.
Poi tolse l’anello dal dito, lo scagliò contro il muro e chiuse la porta alle loro spalle.
Restò sola, ma finalmente libera.
Il telefono squillò ancora: era Vera.
— Allora? — chiese ridendo. — L’hai mandato al diavolo?
— Tutti quanti, — rispose Tat’jana.
Per la prima volta dopo giorni sorrise.
«Meglio sola che prigioniera.»