“La cameriera rimase impietrita quando riconobbe sua figlia stretta tra le braccia del proprietario dell’hotel… senza immaginare che quello fosse solo l’inizio, e che il vero incubo doveva ancora rivelarsi.”

La cameriera si pietrificò nel vedere sua figlia tra le braccia del proprietario dell’hotel… ma non poteva immaginare che quel momento fosse solo l’inizio del peggio.

Benvenuti a Racconti di Conquista.

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Raccontateci da dove ci ascoltate, e preparatevi: quella che segue non è una storia qualunque, ma una delle più sconvolgenti mai narrate.

La hall dell’Hotel Imperiale brillava alla luce del mattino.
Le vetrate immense lasciavano filtrare i raggi del sole, che si riflettevano sui lampadari di cristallo e sulle colonne di marmo. Il tintinnio delle posate sulle stoviglie pregiate si mescolava al sommesso brusio degli ospiti, mentre le fontane interne diffondevano un sottofondo melodico.

Era un lunedì come tanti. O almeno così sembrava.

Rebeca, cameriera giovane e discreta, attraversava la sala con passo elegante e un vassoio d’argento in equilibrio tra le mani. L’uniforme scura impeccabile, i capelli raccolti con cura: tutto in lei trasmetteva compostezza. Eppure, nei suoi occhi si nascondevano storie che nessuno avrebbe immaginato.

Dietro di lei, come un raggio di sole che la inseguiva, camminava Luciana: riccioli neri, un vestitino giallo e una risata cristallina che sembrava rompere la monotonia del luogo.

— Luciana, resta vicino a me, — le sussurrò la madre con dolcezza, senza interrompere il passo.

La bambina annuì ubbidiente, ma i suoi occhi curiosi correvano di continuo da un lato all’altro.

Fu allora che accadde.

Un uomo si alzò da un tavolo al centro della sala. Alto, imponente, i capelli scuri pettinati all’indietro e un abito blu notte che emanava potere. Era Samuel Arriaga, il proprietario dell’hotel, magnate alberghiero che raramente compariva in pubblico.

Luciana si fermò, lo fissò. Lui ricambiò lo sguardo. Un istante dopo, senza alcun preavviso, la bambina corse verso di lui.

— Luciana! — esclamò Rebeca, gelata.

Ma ormai era tardi.

La piccola gli saltò tra le braccia, stringendolo con forza. Samuel, spiazzato, la sollevò istintivamente. Luciana poggiò il viso sulla sua spalla, come se lo conoscesse da sempre.

La sala cadde in un silenzio irreale. Camerieri, ospiti, dirigenti: tutti fissavano la scena increduli.

Rebeca rimase paralizzata, il vassoio ancora in mano, gli occhi sbarrati. Samuel, invece, non mostrava fastidio né irritazione. Solo stupore… e un bagliore negli occhi, come se un ricordo improvviso stesse riaffiorando.

— Questa bambina è tua figlia? — domandò con voce bassa, avvicinandosi a Rebeca.

Luciana continuava ad abbracciarlo, senza lasciarlo.

— Sì… è mia figlia, signore, — riuscì a mormorare Rebeca, quasi senza fiato. — Mi scusi, non so perché abbia reagito così.

Samuel esitò. Poi chiese:

— Come si chiama?

— Luciana, — rispose lei.

Il nome cadde come un fulmine. Il volto del magnate cambiò colore. Il brusio della sala riprese, ma ormai l’aria era carica di tensione.

E fu in quell’attimo che Luciana, con la naturalezza di un bambino, posò le manine sul volto dell’uomo e sussurrò:

— Ti ho sognato.

Samuel trattenne il respiro.
Rebeca sentì le gambe cedere.

Quella scena, che agli occhi degli altri poteva sembrare solo bizzarra, per lei era il preludio di qualcosa di più grande. Un segreto sepolto da anni stava per riaffiorare.

Due anni prima, Rebeca era arrivata all’Hotel Imperiale con una valigia consunta, una busta di documenti sgualciti e una bambina di tre anni addormentata tra le braccia. Cercava un lavoro, sì. Ma in verità cercava lui.

Samuel Arriaga non era uno sconosciuto. Era l’uomo che, anni prima, aveva incontrato per una sola notte. Una notte che aveva cambiato la sua vita.
Un incontro fugace, nato a un evento di beneficenza, finito con un addio improvviso e, poco dopo, con la scoperta di una gravidanza.

Rebeca aveva provato a contattarlo: lettere, telefonate, messaggi mai risposti. Alla fine, comprese che quell’uomo non sapeva nemmeno della loro esistenza. Decise quindi di crescere Luciana da sola.

Ma la vita aveva altri piani.

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Quell’incontro improvviso nella hall non era un caso: era il passato che bussava alla porta del presente. E il peggio — o forse il meglio — doveva ancora venire.

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