«Dammi da mangiare e io guarirò tuo figlio», sussurrò la bambina. Il milionario rise di gusto… finché accadde l’impensabile.

«Dammi da mangiare… e guarirò tuo figlio», disse la bambina, con un filo di voce che, pur tenue, non lasciava spazio al dubbio.

Jonathan Pierce, milionario partito dal nulla e ormai sinonimo di fiuto infallibile e pragmatismo implacabile, la fissò per un istante e poi scoppiò in una risata sonora.
«Che assurdità! Cosa sei, una piccola artista di strada in cerca di spiccioli?»

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Lei non si scompose. Avrà avuto nove anni, non di più, e nei suoi occhi scuri brillava una calma innaturale per un’infanzia che doveva essere stata tutt’altro che facile. Era in piedi davanti al suo tavolo in un ristorante esclusivo, un semplice vestito blu addosso che stonava tra gli abiti griffati e i gioielli dei presenti.

Accanto a Jonathan, suo figlio Ethan, sette anni, se ne stava in silenzio sulla sedia a rotelle, tormentando il bordo della giacca. Dalla nascita, le sue gambe erano state immobili. Jonathan aveva speso fortune in terapie, cliniche e medici famosi, ma senza mai ottenere un risultato.

«Papà…» mormorò Ethan, con voce che tremava. «Lei dice che può aiutarmi.»

Jonathan lo guardò con scetticismo. «È solo una bambina, Ethan. Non può fare nulla.»

La piccola però non arretrò. «Non voglio soldi. Solo un pasto. Poi vedrai.»

Jonathan sospirò, certo che fosse un trucco. Magari i suoi genitori erano lì vicino, pronti a inventarsi un ricatto. Lanciò un’occhiata attorno: nessuno pareva interessato alla scena. Eppure, quello sguardo fermo lo mise inspiegabilmente a disagio.

«Parli sul serio?»

Lei annuì.

«Va bene. Ordina quello che vuoi. Ma non credere che io ti dia credito.»

Pochi minuti dopo, la cameriera le servì un piatto di pasta semplice. La bambina divorò ogni boccone, come se non mangiasse da giorni.

«Come ti chiami?» chiese Ethan, senza distogliere lo sguardo.

«Lila», rispose, masticando ancora.

Jonathan guardò l’orologio, spazientito. «Bene, Lila. Hai mangiato. E adesso? Dovrei aspettarmi magie e formule segrete?»

Lei posò la forchetta e disse soltanto: «Uscite. Ho bisogno di spazio… e di fiducia.»

Jonathan rise amaramente. «Fiducia? Pretendi che mi fidi di una sconosciuta incontrata per caso?»

«Hai davvero un’alternativa?» replicò, quasi sottovoce.

Quelle parole lo colpirono più di quanto volesse ammettere. Nessun medico era mai riuscito a dare a Ethan una speranza. Forse, davvero, non aveva più nulla da perdere.

«D’accordo. Ma se succede qualcosa a mio figlio…»

«Non succederà», lo interruppe lei.

Uscirono nella sera fresca e Lila li condusse fino a un piccolo parco, l’erba ancora lucida di pioggia. Si inginocchiò davanti a Ethan e posò le mani sulle sue ginocchia.

Jonathan incrociò le braccia. «È ridicolo.»

«Zitto», mormorò lei. «E guarda.»

Ethan deglutì, ma non si mosse. Poi sentì un calore diffondersi dalle gambe verso l’alto. Gli occhi si spalancarono.

«Papà… sento qualcosa.»

Jonathan sbiancò. Aveva già sentito frasi simili in ospedali e ambulatori, sempre seguite da delusioni. Ma stavolta c’era luce vera negli occhi di Ethan.

«Sento… le gambe!» gridò, con le lacrime agli occhi.

Jonathan restò senza fiato.

Lila si rialzò, pallida ma sicura. «Te l’avevo detto. Mi serviva solo un pasto.»

«Chi… cosa sei?»

Lei non rispose. Si voltò, pronta ad andarsene.

«Aspetta! Come ci sei riuscita? Cosa vuoi in cambio?»

«Molto più del cibo. Ma non sei ancora pronto a saperlo.»

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E svanì nell’oscurità.

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