Boris Sergeevič, diretto con la fidanzata alla dacia del socio per una grigliata organizzata in occasione della festa dell’8 marzo, decise di fare una sosta al supermercato. Inizialmente aveva pensato di portare Angela al ristorante, ma lei, venuta a sapere dell’invito, lo aveva convinto che la gita in campagna sarebbe stata più vantaggiosa: lì avrebbe conosciuto persone influenti, quelle che da tempo desiderava incontrare. In fondo, non era solo la sua compagna, ma la fidanzata di un dirigente di una grande holding.
Per lei Boris aveva già preparato un regalo: una collana elegante, confezionata con cura, che riposava sul sedile posteriore dell’auto. Al supermercato, oltre a una bottiglia di cognac, voleva aggiungere un mazzo di fiori e un tocco dolce: una tavoletta di cioccolato, sapendo bene quanto Angela amasse i dolci, pur riuscendo sempre a mantenere un aspetto impeccabile.
Quando arrivò al reparto, rimase sorpreso. Gli scaffali erano quasi vuoti: normale, pensò, l’8 marzo il cioccolato spariva sempre in fretta. Rimanevano solo tavolette economiche, quelle che Angela non avrebbe nemmeno guardato. Poi, in alto, notò l’ultima confezione di un cioccolato di marca pregiata: esattamente il genere che avrebbe apprezzato. Allungò la mano per prenderla, ma sentì un leggero strattone alla manica. Si voltò: un bambino di otto anni, con il naso arrossato e la voce incerta, lo guardava con supplica.
— Signore, per favore, mi dia quella tavoletta! È per la mia mamma, oggi è la sua festa!
— Perché non prendi un’altra? — chiese Boris, sorpreso. — Ce ne sono ancora.
Il piccolo abbassò lo sguardo. — La mamma ha visto proprio questa in televisione… Non l’ha mai assaggiata.
Boris esitò appena, poi gli porse la confezione. Angela aveva sempre tutto, ma per quel bambino quel cioccolato sembrava un sogno.
— Tieni, piccolo. Auguri a tua mamma.
Il viso del bimbo si illuminò. Corse verso la cassa, ringraziando più volte. Boris lo seguì con lo sguardo e lo vide poggiare sul nastro una manciata di monetine: copechi, rubli, qualche banconota stropicciata.
— Signora, può controllare se basta? — chiese timidamente alla cassiera.
La donna lanciò un’occhiata sprezzante. — Non arriva nemmeno a un terzo del prezzo. Rimetti via i soldi e lascia stare.
Il bambino tentò di insistere, ma la voce gli tremava. — Per favore… è per la mamma…
— Ti ho detto di no! — ribatté lei, irritata. — O ti togli, o chiamo la sicurezza!
A quel punto intervenne Boris. Con un sorriso educato, augurò alla cassiera buona festa e pagò il cioccolato con la carta. Poi, rivolto al bambino, disse:
— Riprendi i tuoi soldi. Ti serviranno.
Il piccolo raccolse le monetine e, arrossendo, tese il pugno verso Boris. — Allora li prenda lei, devo pagarla.
— Non mi devi nulla, — rispose Boris, accarezzandogli la spalla. — Consideralo un regalo.
Quando Boris si avviò verso l’uscita, il bambino lo fermò ancora.
— Signore, aspetti! Io volevo davvero regalarlo alla mamma… Adesso sembra che venga da lei, non da me!
Quell’onestà lo colpì.
— Come ti chiami? — chiese.
— Igorok, — rispose il piccolo. Poi, con un filo di voce: — Stavo mettendo da parte le monetine per le medicine di mamma. Ma servono troppi soldi. Così ho pensato: almeno un giorno speciale lo deve avere anche lei.
Boris lo ascoltò in silenzio, poi chiese con decisione:
— Va bene, Igorok. Portami da tua mamma, così faccio anche io gli auguri.
Il bambino accettò con entusiasmo. In pochi minuti furono davanti a un appartamento modesto, ordinato ma segnato dalla fatica. Una voce femminile arrivò dall’interno:
— Figlio, sei tu? Perché ci hai messo tanto?
Quando Boris entrò, restò senza parole. Sul divano, pallida e stanca, c’era una donna che conosceva bene: Irina Aleksandrovna, un’ex dipendente della sua azienda.
Il resto fu una rivelazione: Boris seppe che Irina non si era licenziata, come Angela gli aveva detto, ma che era stata proprio la sua fidanzata a cacciarla, diffamandola per impedirle di trovare altro lavoro. E seppe anche che quel bambino, Igorok, era il figlio nato da un amore fugace vissuto anni prima a Soči — il figlio che non aveva mai saputo di avere.
Il cioccolato diventò così il filo che ricucì destini spezzati: la verità venne a galla, Angela perse tutto e Boris ritrovò sia l’amore che una famiglia. Da quel giorno, ogni anno, l’8 marzo, la loro casa si riempì del profumo di fiori e del sapore di quella stessa tavoletta di cioccolato: il simbolo del miracolo che li aveva uniti per sempre.