Parte Uno
Mi chiamo Mary, ho trent’anni e lavoro come impiegata in una società di identificazione. Fino a poco tempo fa ero convinta che la mia vita con Marcus, mio marito, e con sua figlia Anna fosse finalmente la “famiglia” che avevo sempre desiderato.
Marcus è più grande di me di nove anni. Quando ci siamo conosciuti era già divorziato e si occupava da solo di Anna: la madre l’aveva abbandonata, rinunciando all’affidamento. Anna, allora dodicenne, mi sorprese con i suoi modi gentili e con un sorriso che non dimenticherò mai.
«Piacere di conoscerti, sono Anna. Grazie per occuparti di papà.»
Quelle parole sciolsero la mia tensione. Ero pronta al rifiuto, invece trovai apertura. Dentro di me pensai: forse posso essere io la madre che non ha mai avuto. Un anno dopo, Marcus mi chiese di sposarlo. I miei genitori ebbero qualche riserva, ma alla fine cedettero di fronte alla mia determinazione. Così mi trasferii da loro e cominciò la nostra vita insieme.
All’inizio sembrava tutto perfetto. Anna mi chiamava “mamma”, Marcus era affettuoso, cenavamo insieme e ridevamo per programmi sciocchi in TV. Mi illudevo che quella fosse la favola che avevo sempre sognato.
Poi, lentamente, le crepe si fecero strada.
Una sera, dopo cena, Anna lasciò il piatto sul tavolo e andò a sdraiarsi sul divano.
«Anna, porta via il piatto. Sei grande abbastanza.»
«Ugh, davvero? Non puoi farlo tu, mamma?» ribatté alzando gli occhi al cielo.
Marcus intervenne subito: «Non essere troppo severa, Mary. È solo una bambina.»
Quelle parole mi ferirono. Io volevo solo insegnarle responsabilità, ma da quel momento ogni mio tentativo fu accolto con resistenza da parte sua e con indulgenza da parte di Marcus. Poco a poco, tutte le incombenze domestiche finirono sulle mie spalle.
Quando provai a discutere, lui liquidò la questione con un: «Le faccende sono lavoro da donne.» E Anna, sprezzante, aggiungeva: «Sei una madre fredda.»
Così, nonostante lavorassi a tempo pieno, diventai la loro serva.
La tensione esplose con la questione scuola: Anna voleva frequentare un prestigioso liceo privato, ma passava le giornate sul telefono. Quando provai a spronarla, mi urlò: «Stai zitta, non sei la mia vera madre!» E Marcus, come sempre, la difese.
La distanza tra me e mio marito aumentò. A volte rientrava tardi, parlando vagamente di lavoro. Io cominciai a sospettare.
Un mattino, Anna smise del tutto di salutarmi. Poi anche Marcus. Parlavo, ma era come se non esistessi. Cucinavo, pulivo, pagavo le bollette: nessun grazie, nessuno sguardo. Uscivano insieme nei weekend lasciandomi sola. Io piangevo sotto la doccia, chiedendomi cosa avessi sbagliato.
Finché una sera li sentii parlare.
Anna rideva: «La mamma è ingenua. La strategia del silenzio funziona: fa tutto senza protestare.» Marcus confermò ridendo: «Già, è utile. Paga persino le bollette.»
Il cuore mi si spezzò. Non ero una moglie né una madre: ero diventata la loro domestica.
La mattina dopo, senza dire nulla, preparai la valigia e me ne andai dai miei genitori. Avevo paura della loro delusione, ma mi accolsero con amore. Mio padre disse soltanto: «Hai fatto il massimo. Ora basta.»
Qualche giorno dopo Marcus mi chiamò furioso: «Come osi andartene? Torna subito!»
Risposi con calma: «Voglio il divorzio.»
Tentò di convincermi, ma ormai sapevo la verità: aveva un’amante. Persino Anna ne era a conoscenza.
Gli dissi che il condominio non era suo, ma mio: apparteneva ai miei genitori. Avevo già mandato le loro cose dai suoi. Rimase in silenzio. Poi, con voce disperata, tentò di implorarmi.
Ma era finita.
Parte Due
Il divorzio si concluse rapidamente. Marcus si trovò travolto dalle cause legali: la mia e quella intentata dal marito della sua amante. Spese tutti i risparmi in avvocati e risarcimenti, arrivando persino a chiedere prestiti.
Il nostro vecchio appartamento fu venduto. Io con quei soldi acquistai una piccola casa tutta mia, luminosa e tranquilla, vicino al lavoro. Marcus e Anna invece finirono in un alloggio malridotto.
Provai solo sollievo. Ma poi iniziarono le telefonate: suppliche, scuse, promesse. Io non caddi nella trappola. Ogni volta riattaccavo.
Venni a sapere che Anna aveva dovuto iscriversi a una scuola pubblica. I suoi atteggiamenti arroganti la isolarono e rimase senza amici. La loro casa cadeva a pezzi.
Un giorno Marcus mi chiamò singhiozzando: «Mary, ti prego, non ce la faccio. Anna mi odia. La casa è sporca. Stanno per sfrattarci.»
Per un istante sentii compassione. Poi ricordai le loro risate alle mie spalle.
«Avete scelto voi questa strada. Vivetela», risposi.
Alla fine, il divorzio fu ufficiale. Io ottenni il mantenimento e mi ricostruì la vita. Mi dedicai al lavoro, ai miei genitori, agli amici. Ero libera.
Marcus provò ancora una volta a fermarmi, presentandosi alla porta dei miei. Sembrava un uomo distrutto.
«Ti prego, Anna ha bisogno di te.»
Lo guardai negli occhi. «Io vi ho dato tutto, e voi mi avete calpestata. Ora è finita.»
Per la prima volta, non ebbe più niente da dire.
Chiusi la porta e con essa un capitolo doloroso.
Oggi vivo serena, con un futuro che appartiene solo a me. Non ho bisogno della loro approvazione né della loro presenza. Ho me stessa, e tanto basta.